Papa Francesco con un piumino bianco, Donald Trump arrestato dalla polizia, montagne di rifiuti davanti alla Torre Eiffel… Tutte queste foto virali hanno una cosa in comune: sono false. Sono state create dall’intelligenza artificiale.
Con l’avvento dell’AI generativa, è diventato sempre più arduo distinguere le foto reali da quelle che non lo sono. Questi sofisticati strumenti, infatti, consentono di creare immagini estremamente realistiche con pochi clic, replicando qualsiasi scenario possa venire in mente.
Di conseguenza, è difficile verificare l’autenticità di un contenuto visivo, non essendo più possibile distinguere con certezza ciò che è reale da ciò che è stato prodotto artificialmente. Questa caratteristica dell’intelligenza artificiale solleva nuove problematiche relative alla tutela del diritto d’autore e alla diffusione di fake news e deep fake.
Content Credentials: il logo di Adobe per riconoscere le immagini AI
Ogni piattaforma ha il suo metodo per riconoscere le foto generate con l’AI. Per esempio, Google usa il watermark invisibile SynthID. Ma avere tante soluzioni diverse rende il lavoro più difficile. Sarebbe meglio se ci fosse un sistema unico, adottato da tutti. Questa è l’idea di Adobe, che ha lanciato il logo “cr”, per Content Credentials (CC era già usato da Creative Commons). Il nuovo simbolo è frutto della collaborazione tra diverse aziende che fanno parte della Coalition for Content Provenance and Authenticity (C2PA), tra cui lo stesso Adobe e Microsoft.
L’icona “cr” indica una serie di informazioni: chi è il proprietario della foto, quando è stata creata, se è stata realizzata con un’IA, con quale, e così via. Queste informazioni sono nei metadati, quindi non basta eliminare l’icona per nasconderle. Content Credentials registra anche le versioni precedenti dell’immagine, che si possono vedere con lo strumento Verify della C2PA.
L’iniziativa di Adobe è davvero lodevole, ma funzionerà davvero solo se la maggior parte dei soggetti coinvolti la accoglierà e la userà. Microsoft abbandonerà il suo sistema interno per adottarla, ma non è detto che Google, tra gli altri, faccia lo stesso.