Roma – Lo ha per prima annunciato Telecom Italia nei giorni scorsi ma accade anche con gli altri operatori: quando l’utente di una flat ADSL intende avvalersi delle nuove norme introdotte col decreto Bersani per cambiare provider senza badare alla scadenza del contratto, deve comunque pagare la disattivazione , un quantum che varia da operatore ad operatore. Una tariffa che ora scatena la presa di posizione dei consumatori.
Altroconsumo ha immediatamente fatto ricorso alle autorità del mercato e delle TLC sostenendo che i “balzelli di uscita” dai contratti ADSL sono “penali inaccettabili”. Il ragionamento è semplice: da un lato la legge Bersani impone ai provider di consentire ai propri clienti di cambiare fornitore in qualsiasi momento, dall’altro gli ISP hanno fin qui richiesto ai propri abbonati che cambiavano operatore di pagare comunque l’intero anno di abbonamento . Questa richiesta, cancellata dalla nuova normativa che di fatto introduce contratti senza scadenza temporale predefinita, si è trasformata nella richiesta di un altro balzello, quello della buonuscita .
Chi se ne va da Telecom Italia nel corso del primo anno dall’attivazione dell’abbonamento, infatti, si trova a pagare 40 euro di recesso , una cifra equivalente a quella predisposta da Wind e inferiore ai 60 euro decisi da Tele2. Di questi tre operatori, solo Telecom non fa pagare l’eventuale recesso nel secondo anno dall’abbonamento, che Wind e Tele2 tariffano esattamente come il primo. Al momento solo Tiscali non prevede un costo di recesso predefinito.
Secondo Altroconsumo, ma sulle stesse posizioni c’è anche ADUC , queste tariffe sono inaccettabili in quanto violano lo spirito delle normative Bersani , che puntano a rendere più facile agli utenti cambiare operatore quando lo ritengano necessario.
I consumatori sottolineano però quello che appare un importante “buco” nella normativa: se è vero che questa prevede la massima libertà per gli utenti, gli ISP i cui utenti migrano ad altro operatore si trovano comunque a dover pagare a Telecom l’anno di abbonamento , il che può tradursi in una perdita economica tutt’altro che secondaria. Altroconsumo teme che questo possa consentire agli operatori di giustificare le tariffe di recesso e anche su questo punto specifico invita le autorità ad intervenire.
Secondo Domenico Murrone di ADUC, gli oneri a cui gli operatori vanno incontro al momento del passaggio da un ISP all’altro sono infinitesimali rispetto alle tariffe di disattivazione. “È un’operazione semplice – dichiara – fatta direttamente dalle centrali senza inviare alcun tecnico a casa dell’utente”. Secondo ADUC, dunque, c’è anche un ulteriore paradosso dell’abbonamento : “I costi aumenteranno per il cliente che recede dopo 11 mesi di contratto. Prima era costretto a pagare “solo” un canone mensile”.
Va detto, comunque, che la normativa Bersani non esclude il costo di disattivazione , sebbene specifichi che vada calcolato sulla base dei meri costi dell’operazione e non possa essere “ingigantito” con spese non giustificate .
E mentre Telecom viene tirata in ballo sul fronte delle migrazioni da un operatore all’altro, il Sistema Italia, alle prese con la vendita del controllo di Telecom viene messo nel mirino dalla grande stampa americana. Di seguito i dettagli. In questi giorni si decide il futuro di Telecom Italia, sospesa tra le avances dei colossi delle TLC americane, le dimissioni del presidente Guido Rossi, le dichiarazioni del premier Romano Prodi e quelle dello stesso Rossi, l’annuncio che la Consob dovrebbe fare oggi sugli allocamenti delle quote delle società controllanti di Telecom dopo giorni di scambi finanziari senza precedenti e il 16 aprile, giorno dell’assemblea decisiva dei soci di Olimpia.
E proprio in questi giorni la stampa americana ha deciso di tornare all’attacco. Il New York Times titola “Outrage! A Nation’s Phones May End in Foreign Hands”, e presenta la riduzione di un lungo articolo dell’ International Herald Tribune (IHT) che sulla vicenda della vendita Telecom ci va giù pesante fin dal titolo Telecom Italia diventa una sceneggiata nazionale .
L’analisi di IHT è impietosa: “L’arcaico sistema capitalistico” italiano sarebbe in queste settimane impegnato nell’ennesimo “melodramma finanziario all’italiana” i cui protagonisti sono i “soliti sospetti”, un azionista di controllo che cerca di riprendersi tutto quello che può da “un cattivo investimento”, un “presidente appena dimessosi”, la “traballante società” obiettivo di un’acquisizione, i soci di minoranza “esclusi dall’accordo” e “gli acquirenti stranieri” che hanno a che fare con un ambiente finanziario “scettico” e un “governo riluttante”.
Secondo IHT, AT&T e America Movil si sono gettate nella “soap opera italiana” senza essere preparati al “fuoco di ritorno” provenuto da molti leader industriali e politici italiani “fast and furios”, che vogliono che Telecom rimanga di controllo italiano.
IHT ricostruisce poi con chiarezza il gioco di scatole cinesi che le leggi finanziarie italiane hanno consentito si creasse per il controllo di Telecom, gioco che i due colossi TLC americani potrebbero arrivare a controllare con un investimento in Olimpia di non più di 2 miliardi di euro a testa, per una società, Telecom Italia, che ha un valore di mercato di 44 miliardi di euro (una situazione su cui polemizzano in tanti, citata tra gli altri sul suo blog da Luigi Vimercati, sottosegretario alle Comunicazioni).
L’autorevole quotidiano osserva poi come gli azionisti di minoranza, “il 20 per cento dei quali non-italiani”, saranno costretti a rimanere a guardare se Tronchetti Provera venderà la propria quota in Telecom.
“Ma – conclude il lungo articolo – come in ogni melodramma, c’è la possibilità che un eroe appaia infine e proponga una soluzione tutta italiana per rimpiazzare Tronchetti Provera e soddisfare il desiderio del Governo di impedire che Telecom Italia finisca in mano a stranieri. Per il momento, comunque, AT&T e America Movil volteggiano pazientemente”.