Roma – Cambiare operatore ADSL? Un incubo che dura in media 60 giorni. La situazione è giunta a punto di rottura, tanto che nei giorni scorsi Tiscali ha citato in tribunale, con procedura d’urgenza (articolo 700), Telecom Italia. Accusata, anche da altri operatori in diverse sedi, di ostacolare gli utenti che vogliono lasciare Alice.
È comunque soltanto un’isola, la più grossa, di un arcipelago di problemi che ha un nome univoco: “Guai a chi cambia idea”. Guai a chi ha già l’ADSL e adocchia un’offerta migliore di quella sottoscritta. Guai anche a chi vuole cambiare offerta ADSL pur restando con lo stesso operatore: è difficilissimo, denuncia Altroconsumo a Punto Informatico. Guai a chi ha abbandonato Telecom a favore dell’unbundling completo e ora vuole passare alla rete fissa di un altro operatore alternativo. Da Wind a Fastweb o viceversa, per esempio. Non può farlo direttamente, deve passare di nuovo dal Via, ossia da Telecom, pagando una nuova attivazione (150 euro). In ogni caso perderà il proprio il numero, oltre al tempo (e alla pazienza).
Sono problemi già noti al Garante TLC . Nei mesi scorsi ha provato a lanciare qualche soluzione. Inefficace, finora. “In effetti ci risulta che cambiare operatore ADSL comporti circa 60 giorni di blackout della linea”, dice un portavoce del Garante a Punto Informatico. Gli utenti annuiscono. Lo sanno bene che bisogna pensarci due volte prima di entrare in quel tunnel chiamato “cambiare operatore ADSL”. “Per due mesi e mezzo sono stato senza ADSL, passando da Telecom a Tiscali”, dice Alberto Fenu, fondatore del movimento Comitato di Protesta , nato sull’onda di recenti malumori degli utenti nei confronti dei principali operatori.
A marzo 2005 il Garante ha deliberato il cosiddetto override : il primo tentativo di risolvere il problema. Scatta l’override quando un utente di un’ADSL wholesale (acquistata all’ingrosso dal listino Telecom) chiede a un altro operatore di attivare un’ADSL disponibile in unbundling. Di norma, nei casi di linea già occupata da ADSL, la richiesta sarebbe annullata. L’override, invece, impone disdetta immediata della vecchia ADSL e attivazione automatica della nuova. Il cliente continua comunque a pagare l’eventuale canone della precedente offerta ADSL, per i mesi restanti fino alla scadenza del contratto. L’override avrebbe però il vantaggio di accelerare la migrazione. L’utente non ha bisogno di inviare prima la disdetta, aspettare che la linea si liberi, e poi richiedere la nuova attivazione. Può fare direttamente quest’ultimo passaggio, il resto sarà automatico.
L’override riguarda soltanto, tuttavia, i passaggi da wholesale a unbundling di due diversi operatori. “In realtà, questa regola è stata decisa dal Garante soprattutto per agevolare la concorrenza e permettere agli utenti di passare con più facilità da Telecom ad altri operatori”, dice Paolo Nuti, vice presidente AIIP (l’associazione dei principali provider italiani). “Peccato però che Telecom abbia obiettato, dicendo che l’override non si applica ad Alice, poiché Telecom non è un operatore wholesale”. Però “in agosto Agcom è intervenuta di nuovo, con una delibera interpretativa della precedente, spiegando che l’override si applica anche a Telecom”.
Vittoria? Macché: “Telecom a settembre ha impugnato la delibera, dicendo che è incompleta e che necessita di chiarimenti”. La situazione è quindi ora in stallo. Telecom sta applicando l’override solo sulle linee ADSL wholesale e non sulle proprie. “Il punto che la quasi totalità dei passaggi richiesti dagli utenti sono da Telecom ad altro operatore”, dice a Punto Informatico Pierpaolo Festino, Direttore Divisione Consumer di Tiscali Italia. “Quindi l’override manca il bersaglio. Ecco perché abbiamo citato in giudizio Telecom, con procedura d’urgenza, che si applica nei casi in cui la parte lesa dimostra di stare subendo danni economici notevoli”.
È evidente che l’utente è scoraggiato a cambiare operatore, alle condizioni attuali. Il che imbalsama il mercato, danneggia la concorrenza, ostacola la discesa dei prezzi e il miglioramento del servizio. Gli operatori sanno che gli utenti rimarranno fedeli anche se in parte insoddisfatti; perché sforzarsi a migliorare il call center, le velocità, diminuire i prezzi, allora? Se qualche progresso lo fanno comunque, è per accaparrarsi gli utenti che ancora non hanno l’ADSL. Non tanto per il timore di perdere i propri e per conquistare quelli altrui. Ma gli utenti privi di ADSL sono una fetta di popolazione che tende a ridursi.
Se la situazione non si sblocca, quindi, quando il mercato sarà saturo non ci sarà più interesse a migliorare il servizio e i prezzi; l’ADSL italiana potrebbe allora avvizzire, ferma sullo status quo. Il che fa il gioco soprattutto di chi ha già preso la fetta più grande della torta: Telecom Italia, che ha circa il 70-80 per cento degli utenti ADSL italiani. Purtroppo si può fare ben poco, dal momento che “Telecom ignora le nostre delibere e si rifiuta di essere regolamentata”, dice un portavoce del Garante TLC, che al momento ha le armi spuntate perché “siamo sotto organico: siamo meno di 300, mentre avremmo bisogno di circa 400 persone. Ofcom, il Garante TLC britannico, ne ha 1.500. Ma a noi hanno tagliato i finanziamenti, abbiamo ricevuto solo in parte quelli del 2004. E dal 2006 sarà anche peggio”. Un problema che quindi non è confinato al settore ADSL, ma investe la politica e l’economia italiana nel complesso. Quando un Paese è in crisi economica, si arrocca su posizioni difensive. Non investe più nella liberalizzazione, ma tende a fare scudo con il protezionismo. Di conseguenza, tendono a rafforzarsi i monopoli.
Al momento, la buona volontà del Garante sembra infrangersi su un muro di gomma, che è lo specchio di un problema più grande, generale del Paese. “L’override al momento ci sta creando solo problemi”, dice Nuti. “Alcuni utenti hanno perso l’ADSL perché il call center di un operatore di unbundling aveva inoltrato richiesta di attivazione, senza il loro permesso”. “Pensa un po’- aggiunge Nuti- era capitato anche a me, per fortuna sono riuscito a bloccare la nuova attivazione”. Non è raro che call center troppo zelanti, per equivoco o malafede, attivino l’ADSL a utenti inconsapevoli. Nelle condizioni dell’override, però, l’utente perde d’un tratto l’ADSL già attiva e magari si vede recapitare a casa il modem e la prima bolletta di un altro provider, cui non ha mai richiesto nulla.
“Gli utenti in questione hanno mandato diffida al nuovo operatore e dopo una settimana sono riusciti a riottenere l’ADSL”. “Sono casi isolati”, ribatte Festino, “che comunque si dovrebbero combattere sorvegliando meglio il fenomeno delle attivazioni non richieste. Che è un problema a parte. La delibera sull’override è un passo nella giusta direzione, invece. Meglio un sistema imperfetto che niente. Ogni indugio e cavillo posti sull’override fa il gioco di Telecom, cioè di chi mina la concorrenza”. Tiscali, nell’attesa che la situazione si sblocchi, favorisce il cambio operatore rimborsando il costo della raccomandata di disdetta. Inoltre, dà cinque euro di bonus sulla prima bolletta, agli utenti che inviano disdetta, al precedente operatore, entro tre giorni dalla richiesta di attivazione dell’ADSL Tiscali.
Anche Telecom riconosce che la procedura di cambio operatore è, al momento, troppo lunga; è studiata per favorire l’operatore uscente e non l’utente. Telecom si batte, presso Agcom, perché debba essere l’operatore entrante ad affrontare la burocrazia, a curare la procedura di disdetta. È così in altri settori, come in quello bancario. Adesso, invece, è l’operatore uscente a istruire la pratica. Quest’ultimo ha però tutto l’interesse “a fare retention” (come si dice nel marketing), cioè a dissuadere l’utente a cambiare, a rallentare il tutto. La procedura di distacco passa in ogni caso da Telecom Italia, che deve intervenire in prima persona per applicarla nella centrale cui è collegato l’utente. Il problema, secondo Telecom, è che gli operatori uscenti se la prendono comoda prima di inviargli la richiesta di disdetta dell’utente. La ragione è che non sono tenuti a rispettare un tempo limite, non rischiano di pagare penali, che invece si applicano a Telecom se non dà seguito entro sette giorni alla richiesta di disdetta.
Si presenta il problema di sempre: mancano regole precise, a difesa dell’utente; e quelle che ci sono stentano a essere applicate. “È inaccettabile che si creino barriere artificiali e protezionistiche al passaggio da un operatore all’altro”, dice Marco Pierani, responsabile del settore hi-tech presso Altroconsumo. “Ora che la concorrenza sta finalmente un po’ muovendo il mercato in questo settore, con la guerra dei prezzi e delle velocità, tutto ciò è ancora più deleterio per gli interessi dei consumatori”. “Noi abbiamo proposto al Garante TLC – aggiunge – che all’utente fosse pagata una penale da parte dell’operatore che ritardava a liberare la linea”. Potrebbe essere una soluzione; peccato che non sia facile, di caso in caso, risalire alle responsabilità dei ritardi: è dell’operatore, di Telecom o dell’utente, che magari ha sbagliato qualcosa nell’inviare la disdetta?
Passare da una tariffa a un’altra (da free a flat, per esempio), di uno stesso operatore, potrebbe sembrare cosa più semplice. Ma a volte non lo è. “Appare poi addirittura incomprensibile”, aggiunge infatti Pievani, “il trattamento riservato a chi, pur senza voler cambiare provider, chiede di cambiare contratto: troppo spesso è una richiesta a cui viene opposto un rifiuto”.
Altroconsumo ha raccolto qualche dato a riguardo: “da nostre ultime rilevazioni sono addirittura il 22 per cento gli utenti che non hanno ottenuto il cambio che richiedevano (di provider o semplicemente di contratto)”. A conferma di quanto questo problema sia nocivo per lo sviluppo della concorrenza, “un 18 per cento di utenti avrebbe voluto cambiare ma non ci ha neanche provato, scoraggiato dagli ostacoli che gli si paravano davanti”.
Ma anche per chi riesce a cambiare ci sono state difficoltà: “il 31 per cento ha lamentato di avere dovuto aspettare troppo tempo tra la disattivazione della vecchia linea e la attivazione della nuova”.
Una nota positiva, in questo disastro, è la buona volontà di Telecom a concedere il downgrade da Alice 4 Mega ad Alice Flat (a 640): “ci risulta che stia procedendo bene, come promesso da Telecom”.
In tale scenario, è considerato come problema minore il fatto che non sia possibile passare da Wind a Fastweb direttamente (o viceversa). Anche in questo caso, tuttavia, non sono chiare le responsabilità. Secondo Telecom, la causa è l’assenza di regole: poiché i due operatori non sono tenuti, dall’attuale quadro regolamentare, a organizzare una procedura di scambio utenti e a concedere la number portability, non lo fanno. Fastweb invece dice a Punto Informatico che la colpa è di Telecom: vorrebbe restare l’operatore intermediario per tutti i passaggi di utente tra Fastweb e Wind.
La number portability non è concessa, quindi, a chi lascia Fastweb o Wind; Telecom Italia, invece, è obbligata a offrirla, “ma il tutto è organizzato in modo orrendo”, dice Nuti. “È una procedura ancora legata alle vecchie tecnologie a commutazione di circuito. È complicatissima, può durare mesi”. Vengono configurate le singole centrali; su ciascuna il numero deve essere associato al nuovo operatore. Così può accadere come a Roberto R., un lettore che ha ottenuto la portabilità da Telecom al VoIP di Tiscali. Il suo numero risulta a volte irraggiungibile. “Sono problemi rari, legati al malfunzionamento di una singola centrale. La portabilità funziona bene”, ribatte Festino.
Per Nuti, invece, la soluzione è radicale: “usare un altro sistema di gestione numeri, adottando lo standard ENUM , dove la titolarità del numero non è più dell’operatore, ma dell’utente, che quindi può farne quello che vuole. Ma gli operatori telefonici italiani hanno paura di perdere questo privilegio”.
Alcuni provider italiani, dell’AIIP, stanno lavorando in questi giorni per adottare l’ENUM sui numeri VoIP. Almeno in quell’ambito, potrebbe concedere maggiori comodità e servizi agli utenti.
Alessandro Longo