Roma – Il nuovo corso dell’ADSL italiana non convince affatto Assoprovider , che non reputa adeguato lo schema di provvedimento varato dall’ Authority TLC per recepire le direttive europee per il mercato ADSL “wholesale” (all’ingrosso) e teme anzi che con la nuova regolamentazione si corra il rischia di rafforzare la posizione dominante di Telecom Italia , con ripercussioni disastrose sul pluralismo delle comunicazioni in Italia.
Le preoccupazioni già espresse a fine novembre dai provider associati all’ AIIP , che avevano anche comprato una pagina su “Il Messaggero” per evidenziare lo stesso problema, trovano ora energica eco nel comunicato diffuso ieri da Assoprovider.
Questo il testo della nota diffusa dall’Associazione:
“Assoprovider richiede tassativamente che vengano apportate delle correzioni immediate e che si inizi ad affrontare in modo serio il tema della separazione strutturale delle attività di gestione della Rete dalle attività commerciali di Telecom Italia, attraverso la costituzione di due società distinte e indipendenti.
Telecom Italia ad oggi quasi monopolista nel broadband sia all’ingrosso (100% del mercato) che verso l’utenza finale (circa il 76% del mercato), ha ripetutamente dichiarato di essere interessata anche al business dei contenuti; la terna rete-servizi-contenuti, in mano ad una sola azienda è un’eventualità da evitare assolutamente ma lo schema di AGCom sembra andare nella direzione di un consolidamento della posizione dominante di Telecom Italia.
Se lo schema di provvedimento di AGCom rimarrà inalterato, Telecom Italia potrà attuare indisturbata variazioni economiche all’utenza finale senza dare alcun conto delle incongruenze con l’offerta agli operatori e senza più alcun vincolo di comunicazione e valutazione preventiva sulla replicabilità.
Quello che è presumibile aspettarsi è che Telecom Italia varierà le offerte a suo piacimento, e, solo dopo aver devastato il mercato (pre-emption), “forse” interverrà un adeguamento dell’offerta verso gli Operatori alternativi.
Oggi in Italia, un paese che dovrebbe avere imparato dalla sua storia recente quanto sia delicata la concentrazione di potere nel settore delle comunicazioni, c’è una azienda che ha più dell’80 % del mercato della larga banda (ADSL), e si chiama Telecom Italia. La stessa azienda non ha fatto mai mistero di mirare non al cavo, ma ai contenuti da veicolarci sopra. Questo grave problema per il Paese sembra sfuggire completamente alla nostra classe politica. Come più volte ripetuto le PMI non necessitano di aiuti di stato ma di un’autorità che vigili concretamente affinché sia rispettata la libera concorrenza ostacolando in modo deciso la formazione di mercati protetti e truccati e garantendo per tutti gli stessi diritti nella competizione.
Assoprovider invoca quindi la separazione STRUTTURALE delle attività di gestione della Rete dalle attività commerciali, attraverso la costituzione di due società distinte e indipendenti, come in Gran Bretagna ha già ottenuto OfCom per British Telecom . Questa sembra essere l’unica strada rimasta per promuovere sia la concorrenza che gli investimenti per il rinnovamento della Rete.
Assoprovider reclama e ribadisce quindi l’esigenza di un decisivo ed effettivo rafforzamento delle attività di controllo dell’AGCom in modo tale da garantire l’applicazione di quanto previsto dalle delibere promulgate negli anni passati e che impedisca di disattenderle per mancanza di controlli.
Se non interverranno opportune correzioni sui punti indicati, Assoprovider si vedrà costretta a denunciare il comportamento di AGCom nelle opportune sedi nazionali ed internazionali.
APPROFONDIMENTO
Venendo allo schema, di seguito riportiamo le osservazioni che l’Associazione ha presentato all’ Autorità:
a) si legge che “Telecom garantisce l’interconnessione agli apparati di multiplazione presso gli stadi di linea (DSLAM o ADM) attualmente non aperti ai servizi di accesso disaggregato (full unbundling e shared access)” (art.4 comma 2). A primo acchito, sembrerebbe che l’obbligo al bit stream ( fornitura di accesso alla rete pubblica di comunicazioni) sussista solo sulle centrali ove non sia stato aperto l’accesso disaggregato; se così fosse riteniamo questo articolo gravemente lesivo e, qualora non fosse questo l’intento di tale comma, suggeriamo di modificarlo in modo tale che non possa essere interpretato nel modo suddetto.
b) durante la fase di cambio operatore (l’articolo 10, comma 11) è accuratamente descritto un ricco insieme di punti ai quali dovrebbero sottostare le procedure (individuate da Telecom Italia) ma non vi è nessuna indicazione esplicita per l’unico punto di interesse per l’utenza finale, ossia sui tempi massimi consentiti per il cambio operatore che dovrebbero non superare le poche ore.
c) notiamo come l’art 11 al comma 1 sia ricco di richieste di informazioni riguardanti gli apparati e si dimentichi di una componente fondamentale, il DOPPINO (di rame), e continui a non mettere in capo a Telecom nessun obbligo a documentare con precisione ed in forma elettronica accessibile agli operatori la distribuzione della disponibilità delle risorse trasmissive (doppini: rame e fibra)
d) ci domandiamo quale sia la ratio (art 13 comma1 e 2) nel distinguere doppini per i quali l’utenza finale paga un canone all’operatore (offerta agli operatori con orientamento al costo), rispetto a quelli già coperti da canone Telecom Italia (retail minus). Ci pare fin troppo evidente che il prodotto in questione è il medesimo e se per esso sono disponibili i dati per la sua vendita con orientamento al costo questo debba essere applicato indistintamente.
e) soprattutto in considerazione dell’art. 13 comma 3 che consente a Telecom Italia di apportare delle correzioni al retail minus, ci domandiamo sulla base di quali considerazioni, visto che le componenti di costo che consentono di fare una stima del retail minus non sono di certo diminuite in Telecom Italia e soprattutto ci risulta difficile capire come una riduzione dei margini di Telecom Italia possa essere una giustificazione (in pratica l’AGCom consente che Telecom Italia lasci inalterata la disponibilità economica a favore della propria catena commerciale e nel contempo riduca la disponibilità economica agli operatori concorrenti: perché di questo si tratta quando si opera una riduzione del retail minus). Fra l’altro proprio AGCom ha riconosciuto nell’analisi del mercato 12 (Adsl) a suo tempo preparata, che questo non era concorrenziale in Italia.
f) segnaliamo inoltre come venga a mancare una correlazione tra le variazioni di offerta all’utenza finale da parte di Telecom Italia e l’analisi della replicabilità mediante offerta wholesale bit stream, in pratica Telecom Italia potrà attuare indisturbata variazioni economiche all’utenza finale senza dare alcun conto delle incongruenze con l’offerta bit stream agli operatori.
g) esprimiamo un ulteriore parere negativo sulla modalità di gestione del periodo transitorio che nulla dice circa gli obblighi a cui dovrebbe essere soggetta Telecom Italia all’art. 13. Nulla si dice circa l’obbligo di non attuare alcuna variazione di offerta all’utenza finale in assenza dell’offerta bitstream agli operatori e nulla si dice dei tempi che dovranno intercorrere dal rilascio agli operatori di tale offerta ed il tempo entro il quale Telecom Italia potrà operare variazioni della sua offerta (sia in termini di prodotto che di prezzo).
E’ sorprendente che Telecom Italia riceva un minimo obbligo all’offerta orientata ai costi (capo II art 8 comma 3) solo per i siti non ancora “aperti” al servizio di accesso disaggregato e ottenga ampia libertà di manovra per la gestione senza vincoli delle offerte al pubblico cioè, senza più alcun obbligo di comunicazione e valutazione preventiva sulla replicabilità.
In ogni caso anche volendo trascurare la GRANDE anomalia dell’identico prodotto che subisce due diversi trattamenti (cost plus e retail minus: col criterio “retail minus”, il prezzo per la rete è determinato applicando uno sconto al prezzo per i clienti al dettaglio; con il “cost plus”, il prezzo è in funzione dei costi sostenuti dall’incumbent con la migliore tecnologia disponibile più un ritorno sull’investimento) manca completamente un’indicazione su quando avverrebbe l’adeguamento dell’offerta verso gli operatori rispetto alla variazione del prezzo verso il pubblico.”