Africa: un continente che conta oltre 800 milioni di anime (un settimo della popolazione mondiale), rappresenta più del 20% delle terre emerse ed è il secondo per estensione (oltre 30 milioni di chilometri quadrati) e numero di umani. Una terra in cui la tecnologia è presente a macchia di leopardo , dove le opportunità di crescita sono imbrigliate dalla mancata realizzazione di alcuni presupposti.
In un summit di questi giorni in Ruanda , di cui parla tra gli altri The Guardian , sono emerse alcune realtà ancora poco note ai più . L’incontro ha riunito personalità di 10 diversi paesi, ministri, esperti e rappresentanti dell’industria della telefonia mobile, con il comune obiettivo creare quelle condizioni ritenute un vero e proprio passaporto d’uscita dalla povertà: energia elettrica più diffusa , possesso di un cellulare che consentano di affrancarsi dalla condizione di digital-divisi .
Volendo dare qualche cifra che meglio renda l’idea, va evidenziato che oltre il 40% della popolazione è in stato di povertà cronica: vive con meno di un dollaro al giorno. Secondo le Nazioni Unite, nel 2005 oltre il 62% della popolazione viveva in aree depresse, con tassi di disoccupazione che sfioravano il 18% fra i 18-24enni.
Si legge su BBC News che 4 africani su 100 utilizzano Internet e la penetrazione della banda larga è inferiore all’1%.
L’area è, quindi, l’ultima al mondo quanto a penetrazione e impiego della rete, come dimostra anche la scarsezza di traffico spurio che si origina da quelle zone. Il Dr. Hamadoun Toure, capo della International Telecommunication Union (ITU) ha richiamato l’attenzione al riguardo per una ” immediate action ” e ha detto: “Se la banda larga è diffusa all’1%, ci sono il 99% di opportunità. Se l’Africa sta avendo, in queste condizioni, la più alta velocità di crescita del mondo nel campo della telefonia mobile – il doppio della media globale negli ultimi tre anni – per la prima volta gli indicatori economici per l’Africa sono positivi”.
Le sostanziali differenze tra i diversi paesi dell’Africa evidenziano anche come i relativi sistemi economici riflettano lo stato di alfabetizzazione telematica e di fruizione di servizi che derivano dalla diffusione estremamente irregolare delle tecnologie dell’informazione, così come sono attualmente.
Una citazione, che riporta un pensiero dello scrittore nigeriano Eziokwu Bu Ndu, che dice: “In Africa tendiamo a guardare ai servizi come a cose per ricchi e potenti. Questa mentalità ha bisogno di essere cambiata”.
A conferma della correttezza di tale pensiero, basti considerare l’evidenza della necessità di cambiare alcune metodologie di approccio alla rete e ai suoi servizi. Secondo quanto riferisce il Dr. Toure, più del 70% del traffico Internet in Africa passa per l’estero, per poi rientrare spesso nella stessa Africa. Questo, se da una parte produce maggiori costi di connettività, dall’altra fa emergere una grave scarsezza di risorse interne di connessione tra i diversi Paesi africani. A dimostrare la scarsezza di dorsali, si legge su The Guardian , è emblematico l’esempio dell’Uganda, dove vi sono meno di 5 linee telefoniche fisse ogni 100 persone .
Nelle zone meno ricche, spiega The Guardian , una delle maggiori barriere per la diffusione della telefonia cellulare è, invece, il costo dei terminali . Secondo alcuni esperti, dovrebbe scendere al di sotto dei 20 dollari perché possano diffondersi in proporzioni assonanti con il numero di anime complessivo. C’è poi la scarsa presenza di elettricità, che pone in atto singolarissime circostanze come quella in cui, per mantenere alimentata una stazione radio base che rifornisca una zona di servizio telefonico cellulare, sia necessario far ricorso a generatori diesel. Questi ultimi, però, presentano costi di esercizio non del tutto abbordabili. Ma non è tutto: la loro utilità per alimentare anche altri macchinari o, comunque, per avere elettricità, fa sì che siano spesso oggetto di furto.
Altra singolare dimostrazione della scarsa diffusione dell’energia elettrica, riferisce Tony Durham di ActionAid , è il business spontaneo della ricarica della batteria dei cellulari: in alcune zone rurali dove l’elettricità scarseggia sensibilmente o manca del tutto, si arriva a pagare fino a 20 scellini kenyoti per poter connettere un caricabatterie a un pannello solare o a una batteria da automobile e ricaricare il cellulare.
Tutti gli esperti concordano nell’asserire che “se l’Africa vuole svilupparsi tecnologicamente, non c’è alcun bisogno di farlo assorbendo flussi economici da aiuti umanitari: le risorse ci sono”, perché non è là che il continente è bloccato. A impantanare l’Africa è piuttosto la mancanza di proattività nel creare infrastrutture moderne, capaci di rivoluzionare una sedimentaria situazione tecnologica pigramente abbandonata a sé stessa. C’è infatti il rischio, se il continente non mette al passo il proprio know-how , di cadere nella tipica “trappola” della colonizzazione tecnologica .
Non sono mancati , finora, interventi di rilievo, anche avviati da parte di grandi nomi della tecnologia: Motorola, ad esempio, ha messo in sperimentazione in Namibia diverse stazioni radio base alimentate ad energia eolica o solare (come peraltro ha già fatto in molte zone desertiche, specialmente in Egitto, lungo le “piste”); l’uso dei generatori diesel è stato in più occasioni modernizzato, attraverso l’impiego del biodiesel, per ridurne i costi. Ma non basta: il grande business, secondo quanto emerge dal summit , sarà quello di equilibrare , livellare e affinare la diffusione della tecnologia, con particolare riguardo alle telecomunicazioni mobili e fisse. Stando alle previsioni, questa sarà la chiave che, se sfruttata, entro il 2015 potrebbe portare l’Africa a livelli tecnologicamente evoluti.
Marco Valerio Principato