Al termine di un’ indagine conoscitiva congiunta sullo sviluppo della banda larga e ultralarga, promossa lo scorso gennaio dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall’Agcom con relatori i rispettivi presidenti, Giovanni Pitruzzella e Angelo Marcello Cardani, è stata l’occasione per le due auhority per fare il punto della strategia da adottare e stilare i punti da seguire nel prossimo futuro: l’Antitrust e l’Autorità Garante per le comunicazioni italiane premono per un Piano nazionale per la banda larga.
Fondamentalmente le due authority chiedono che il legislatore predisponga un Piano strategico nazionale per lo sviluppo di reti in fibra ottica che prenda in considerazione lo sviluppo della domanda nei prossimi anni, sia con riguardo alle nuove esigenze delle famiglie, che a quelle della Pubblica Amministrazione e delle imprese private (che potrebbero sfruttare – per esempio – sempre di più il cloud computing e i servizi dell’e-government).
D’altra parte, il punto fondamentale per le due autorità è che l’Agenda Digitale ed il suo sviluppo sono un'”esigenza prioritaria” per la competitività dell’intero sistema economico e per la sua crescita, meritevole di un intervento di politica pubblica: le sole forze di mercato non sarebbero sufficienti a sospingere l’Italia verso il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea.
Così, l’intervento pubblico dovrebbe partire dalla “ricognizione dello stock di infrastutture esistenti”, cioè quel catasto delle reti già individuato nel decreto Sblocca Italia e che dovrebbe individuare “in maniera organizzata le aree di intervento, semplifichi le relazioni tra i diversi decisori coinvolti, concentri le risorse pubbliche in pochi e chiari obiettivi, e svolga una pianificiazione degli interventi sulle infrastrutture compatibili con le dinamiche concorrenziali”. Razionalizzando in questo modo gli investimenti futuri.
Da questo punto di vista, poi, occorre riuscire a coinvolgere i privati “anche in forme di joint venture”: se i loro sforzi, da soli, sono insufficienti a garantire lo sviluppo diffuso delle reti di nuova generazione, i fondi pubblici possono aiutare a fare la differenza tra successo e fallimento.
Per il resto secondo le authority l’approccio dovrebbe essere non verticalmente integrato, ma centrato intorno ad un unico operatore di rete definito “puro”, non direttamente integrato nella fornitura di servizi agli utenti finali: “Di contro – proseguono Agcom e Antitrust – un eventuale scenario in cui la struttura di mercato venisse a riorganizzarsi solo sulla figura dell’operatore dominante verticalmente integrato non potrebbe che essere sottoposto ad una valutazione antitrust particolarmente accurata”.
Claudio Tamburrino