Un’agenda digitale per l’Italia, in grado di governare la modernizzazione del Paese instradandola sulle reti e i servizi di nuova generazione. È la proposta avanzata dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) “in relazione all’imminente adozione delle misure pro-liberalizzazione per sostenere la crescita”.
Una dettagliata segnalazione al governo del Belpaese in vista di una serie di interventi legislativi “correlati all’evoluzione del settore delle comunicazioni”. Misure di “semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi nonché iniziative a costo zero – o comunque diverse dagli investimenti diretti – per facilitare la creazione di un ecosistema digitale e fluidificare il percorso di aziende e cittadini nella produzione e fruizione di contenuti digitali”.
Il ministero dello Sviluppo Economico dovrebbe pertanto coordinare l’azione congiunta dei vari protagonisti, dal governo alle regioni. L’agenda digitale tricolore costituirebbe un “documento programmatico e operativo” che, attraverso precise politiche e adeguati strumenti, dovrà indicare una road map per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda già adottata dai vertici della Commissione Europea .
Ma quali sono, nel concreto, i campi d’azione individuati da AGCOM per la definizione di questa agenda digitale del Belpaese? In primis, l’adozione di una politica dello spettro radio, “valorizzando le risorse frequenziali e liberando più risorse per la banda larga”. A seguire, la promozione delle reti tlc di nuova generazione e maggiori incentivi alla circolazione dei contenuti digitali .
Le proposte d’azione di AGCOM non sono finite qui. Norme volte alla digitalizzazione per la promozione delle transazioni online; sviluppo della moneta elettronica e dell’e-commerce oltre che delle tecnologie NFC . Ma anche una maggiore alfabetizzazione digitale e un uso più sociale della tecnologia nei campi del lavoro e della sanità.
“È tempo di agire – conclude AGCOM – La scarsità di risorse non può costituire un alibi all’inazione sia perché molte riforme sono a costo zero, sia perché bisogna guardare al rapporto costi/benefici: non basta ridurre il debito pubblico, quello che più conta è il rapporto tra deficit e PIL”.
Mauro Vecchio