Ha il sapore della beffa o del pentimento operoso ma tardivo il disegno di legge enfaticamente intitolato “Disposizioni per la realizzazione dell’agenda digitale nazionale” presentato in Parlamento da una serie di firmatari illustri tra i quali gli ex Ministri Renato Brunetta e Paolo Romani e l’attuale segretario del Popolo delle Libertà, Angelino Alfano. Oltre trenta pagine tra relazioni ed articoli attraverso le quali si prova a dettare al Governo – quello attuale e quelli futuri – le istruzioni da seguire per attuare, finalmente, nel nostro Paese un’agenda digitale.
Curioso – ma, ad un tempo, almeno sospetto – che così tanti leader del partito che sino a ieri ha governato il Paese, tra i quali il Ministro dell’Innovazione e quello delle Comunicazioni, ovvero i responsabili principali dell’attuazione dell’agenda digitale, abbiano atteso di lasciare Palazzo Chigi per mettersi a dettare le regole della digitalizzazione del Paese. Curioso, a prescindere dai contenuti dei quali si dirà più avanti, che chi sino a ieri avrebbe potuto fare direttamente molto per l’Innovazione del Paese, sedendo nella plancia di comando, avverta oggi l’esigenza di dare agli attuali e futuri inquilini di Palazzo Chigi lezioni di modernità.
Ma tant’è e, quindi, giacché come insegnano i saggi è meglio tardi che mai, Val la pena di leggere tra le pieghe del disegno di legge.
Sfortunatamente, però, anche in questa direzione il primo impatto con il disegno di legge è tutt’altro che positivo e l’iniziativa si snoda lungo un copione piuttosto abusato nel nostro paese per lasciar spazio alla speranza che sia efficace ed incisivo.
I firmatari del disegno di legge propongono infatti la costituzione di una Consulta permanente per l’Innovazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di una Commissione Parlamentare per l’Innovazione Digitale , nonché l’obbligo per il Presidente del Consiglio dei Ministri di stilare annualmente – in collaborazione con l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione – un Piano per l’agenda digitale nazionale. Alla miriade di soggetti individuali e collettivi che già dovrebbero occuparsi di innovazione nel nostro paese ed alle tante leggi e leggine che, a vario titolo, trattano o dovrebbero trattare la materia, pertanto, si suggerisce di affiancarne degli altri. Aprire nuovi tavoli e scrivere nuovi piani e programmi: difficile credere che tutto questo serva davvero a rendere più moderno il nostro Paese.
Leggere le funzioni che dovrebbe avere la istituenda Commissione parlamentare per l’Innovazione digitale, inoltre, fa sorgere il sospetto che l’intera iniziativa legislativa riposi su un pericoloso equivoco di fondo secondo il quale innovazione, digitale, internet siano orpelli più o meno importanti per il futuro del paese, anziché, come sarebbe auspicabile nel 2012, aspetti centrali ed imprescindibili dell’azione parlamentare e di governo, necessaria a garantire al paese un futuro.
Ecco, infatti, di cosa dovrebbe occuparsi l’istituenda commissione parlamentare:
” a) approfondire informazioni, dati e documenti sui risultati delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni e dagli organismi coinvolti nell’attuazione dell’Agenda digitale nazionale; b) promuovere iniziative per lo sviluppo dell’economia digitale, della cultura dell’innovazione, del mercato digitale delle opere dell’ingegno e del contrasto della pirateria e della contraffazione; c) formulare osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente. “.Sono temi e questioni dei quali, nel secolo della rete, non dovrebbe esservi commissione parlamentare e soggetto di governo legittimato a non occuparsi. Dovrebbero rappresentare priorità nella governance del paese, questioni ineludibili e parte integrante del quotidiano politico nazionale anziché di “specialità” o, peggio ancora, temi la cui trattazione possa o, addirittura, debba essere ghettizzata nell’ambito di questa o quella commissione e su questo o quel tavolo.
Difficile credere che sia questa la strada che porta al futuro.
L’unica vera novità positiva – sempre ammesso che i soldi dei quali si parla siano effettivamente disponibili nonostante la crisi – è la proposta di costituzione di un Fondo per l’Italia che dovrebbe finanziare le iniziative di start up innovative .
” Per il primo triennio il Fondo per l’Italia ha una dotazione di 30 milioni di euro per l’anno 2012, di 40 milioni di euro per l’anno 2013 e di 50 milioni di euro per l’anno 2014. ”Non sono tanti ma sono molti di più di quanto – proprio con l’alibi della crisi – il passato Governo abbia investito in innovazione. L’idea sembra confermare il diffuso convincimento secondo il quale spendere i soldi degli altri (governi) sia più facile che spendere i soldi del proprio.
Molti – anche se non particolarmente originali – sono gli incentivi e le facilitazioni per le start up innovative previsti nel disegno di legge. Tra questi, benefici fiscali, supporto nell’internazionalizzazione della propria attività così come nella promozione dei prodotti e servizi nell’ambito pubblico, de tassazione dei ricavi del commercio elettronico internazionale delle micro e piccole imprese e, soprattutto, riduzione dell’IVA sull’editoria digitale . Se il disegno di legge venisse approvato, quindi, finalmente il libro elettronico potrebbe scontare la stessa imposta che scontano, attualmente, i soli libri di carta. Sarebbe una grande vittoria digitale. Iniziative decisamente positive della cui bontà occorre dare atto ai firmatari del disegno di legge.
Per qualche strana ragione – o, forse, meno strana di quanto appaia – nelle pieghe del disegno di legge, all’art. 25, compaiono delle previsioni finalizzate a garantire ” sostegno fiscale alle aziende video ludiche italiane “. Perché vantaggi fiscali per questa sola categoria di imprese, viene da chiedersi? La spiegazione offerta dal primo comma della norma ha, in tutta franchezza, il sapore del favore agli amici o agli amici degli amici. Eccola:
” In considerazione dell’alto tasso di innovazione tecnologica e digitalizzazione del settore del software video ludico e allo scopo di incentivarne lo sviluppo e di favorirne gli investimenti, per l’anno 2012 e per i due esercizi successivi, alle imprese di produzione di software video ludico è riconosciuto un credito d’imposta ai fini delle imposte sui redditi, pari al 15 per cento del costo complessivo di produzione delle opere video ludiche realizzate nel territorio italiano, fino all’ammontare massimo di 2.500.000 euro “.Perché la produzione di software videoludico andrebbe incentivata di più della produzione di software di altro genere?
Più facile da comprendere e, certamente, più opportuno, invece, il riconoscimento di un credito di imposta per la distribuzione online di opere dell’ingegno . Ecco quanto prevede al riguardo l’art. 24 del disegno di legge:
” Al fine di migliorare l’offerta legale di opere dell’ingegno mediante le reti di comunicazione elettronica, è riconosciuto un credito d’imposta del 25 per cento dei costi sostenuti nel rispetto dei limiti della regola de minimis, di cui al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, alle imprese che sviluppano nel territorio italiano piattaforme telematiche per la distribuzione, la vendita e il noleggio di opere dell’ingegno digitali “.
La palma d’oro delle disposizioni scritte peggio – e forse anche pensate meno bene – nel disegno di legge spetta a quella di cui all’art. 29 secondo la quale
” 1. Al fine di utilizzare la rete internet quale strumento per la diffusione della cultura e per la creazione di valore nel rispetto del diritto d’autore, le campagne informative di cui all’articolo 26, comma 3-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei limiti della disponibilità di bilancio, hanno come oggetto principale l’illiceità dell’acquisto di prodotti delle opere dell’ingegno abusivi o contraffatti mediante gli strumenti telematici digitali “.Sembra quasi che gli acquisti online di contenuti siano illegittimi. Nella realtà, ovviamente, si propone di far fare allo Stato spot antipirateria . Idea in linea di principio accettabile, a condizione che gli spot non si traducano nella solita inutile ed anti-educativa eccessiva criminalizzazione di certe condotte o, addirittura, dell’utilizzo delle tecnologie.
Bene, infine, la disposizione sulla trasparenza nella PA di cui all’art. 32 a norma della quale
” le pubbliche amministrazioni devono rendere fruibili gratuitamente i dati in loro possesso, mediante un contratto di Italian Open Data Licence (IODL). Eventuali eccezioni devono essere esplicitate e motivate nel sito internet dell’amministrazione “.
Nonostante i dubbi sollevati da talune delle disposizioni contenute nel disegno di legge, certamente, se il suo contenuto avesse ispirato l’azione del precedente governo, il giudizio sulla modernità e l’attenzione al futuro di quest’ultimo avrebbe potuto essere meno severo.
Questa è anche la ragione per la quale è difficile sottrarsi dal rilevare come l’iniziativa profumi un po’ di ipocrisia politica pre-elettorale.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it