OpenAI ha appena fatto il botto: ha raccolto 6,6 miliardi di dollari in un colpo solo. Un record assoluto per una società privata. La valutazione? L’incredibile cifra di 157 miliardi di dollari. Il messaggio è chiaro: l’AI fa ancora gola agli investitori.
Tuttavia, dietro queste cifre sbalorditive si nasconde una realtà meno affascinante. I giganti tecnologici e le start-up del settore stanno investendo somme astronomiche nell’AI, ma senza vederne i profitti. Un paradosso che sta sollevando sempre più interrogativi nella Silicon Valley e non solo.
Boom di investimenti nell’AI, ma niente profitti
OpenAI è solo la punta dell’iceberg. Ovunque nel settore tecnologico, l’IAI sta divorando budget colossali. Microsoft ha investito 19 miliardi di dollari in un solo trimestre. Google, Amazon, Meta… stanno tutti seguendo l’esempio. Il motivo? L‘addestramento dei modelli AI richiede una potenza di calcolo fenomenale. Necessita di data center enormi, migliaia di GPU all’avanguardia e una notevole quantità di energia. Per non parlare degli stipendi stratosferici degli esperti di AI, vere e proprie rockstar del codice corteggiate da ogni azienda.
Ma questi ingenti investimenti non si stanno ancora traducendo in ricavi equivalenti. Nonostante il suo folgorante successo, la stessa OpenAI è destinata a perdere 5 miliardi di dollari quest’anno. Anche i giganti affermati faticano a far fruttare i loro sforzi.
Il grande bluff degli smartphone AI
I produttori di smartphone si sono lanciati in una corsa frenetica per integrare l’AI nei loro dispositivi. Google, Apple, Samsung… tutti stanno decantando i meriti delle loro nuove funzioni AI. Editing fotografico intelligente, suggerimenti contestuali, assistenti vocali più potenti… La promessa è allettante. Ma la realtà è più sfumata.
Leo Gebbie, analista di CCS Insight, evidenzia un problema importante: “I consumatori non pagano di più per avere accesso a queste funzioni AI. E al momento non sembrano disposti a cambiare telefono solo per questo“. Il risultato è un investimento massiccio in R&S con un ritorno incerto sull’investimento. I produttori speravano che l’intelligenza artificiale avrebbe incrementato le vendite in un mercato saturo. Per il momento non è così.
L’AI nelle imprese
Per quanto riguarda le imprese, l’AI sta suscitando sia speranza che scetticismo. Microsoft punta molto sull’assistente Copilot per potenziare la suite Office. Il problema è che il prezzo raddoppia, senza un evidente valore aggiunto.
Non si tratta di un caso isolato. Molte aziende faticano a vedere un ritorno tangibile sui loro investimenti nell’intelligenza artificiale. Le promesse di aumento della produttività si scontrano con la realtà sul campo. Formare i dipendenti, adattare i processi, gestire i pregiudizi degli algoritmi… L’integrazione dell’AI è una sfida complessa che non può essere ridotta all’acquisto di un software miracoloso.
La bolla dell’AI scoppierà?
Di fronte a questo divario tra investimenti e ricavi, alcuni iniziano a preoccuparsi. Le azioni di colossi come Alphabet e Microsoft sono scese negli ultimi mesi. I venture capitalist, dopo essersi precipitati nelle start-up di AI, iniziano a porsi delle domande.
David Cahn, investitore di Sequoia, ha fatto i conti: per essere redditizio, l’ecosistema dell’AI dovrebbe generare ricavi per 600 miliardi di dollari all’anno. Un obiettivo che sembra irrealistico nel breve periodo. Alcuni temono addirittura una “bolla dell’AI” simile a quella di Internet degli anni 2000.
Tuttavia, la maggior parte degli operatori del settore rimane convinta che questi ingenti investimenti alla fine daranno i loro frutti. L’AI è considerata una tecnologia trasformativa, in grado di rivoluzionare molti settori. Ma la strada verso la redditività sembra essere più lunga e tortuosa del previsto.