Quando la scorsa settimana Apple ha presentato in via ufficiale AirTag, non ha mancato di sottolineare come gli accorgimenti adottati in fase di design e progettazione rendano il dispositivo utile solo ed esclusivamente a tracciare gli oggetti, non le persone. Insomma, la tutela della privacy è assolutamente garantita. E se così non fosse, almeno non per tutti?
Qualche dubbio su AirTag e tutela della privacy
A sollevare la questione il National Network to End Domestic Violence (NNEDV), organizzazione non profit statunitense che si batte contro ogni forma di violenza domestica. L’attenzione si concentra su due punti in particolare. La mela morsicata ha fatto in modo che gli utenti iOS ricevano un avviso (non è dato a sapere con quale tempestività) se nelle loro immediate vicinanze si trova un tracker non associato all’iPhone, dunque potenzialmente posizionato da altri. Inoltre, l’altoparlante interno ad AirTag emette un suono forte e udibile se non entra in comunicazione con il device associato per tre giorni (il periodo potrà essere esteso o ridotto in futuro tramite aggiornamento software).
Sorgono due problemi. La prima delle protezioni appena descritte non copre coloro in possesso di un Android. Inoltre, impiegando 72 ore prima di segnalare la propria presenza tramite segnale sonoro, AirTag può rimanere occultato in una borsa, nello zaino oppure in auto per un periodo sufficientemente lungo da consentire il monitoraggio degli spostamenti di qualcuno in fuga. Ancora, per chi vive con la persona che l’ha nascosto, l’avviso potrebbe non manifestarsi mai, poiché la sincronizzazione avverrebbe con regolarità. Così lo spiega Corbin Streett, Technology Safety Specialist di NNEDV.
Il sistema che fa leva sui tre giorni non funziona se torni sempre a casa dalla persona che ti sta controllando. Una lezione che speriamo Apple terrà in considerazione nel realizzare protezioni di questo tipo.
Dunque, l’ecosistema chiuso messo a punto da Apple, in questo caso non solo impedirebbe l’accesso a piattaforme e servizi a chi sceglie un dispositivo della concorrenza (come nel caso di iMessage o FaceTime), ma ne metterebbe a repentaglio privacy e incolumità.
Quale la soluzione? Una strada percorribile è quella che passa (passerebbe) dalla partnership con Google per la definizione di uno standard condiviso, un po’ come avvenuto per le applicazioni di contact tracing, compresa Immuni. Ricordiamo che ad oggi il market share di Android nel settore mobile supera il 70% (fonte StatCounter), ciò significa che ben oltre la metà degli smartphone in circolazione si basa sul sistema operativo di Mountain View o su una delle sue tante derivazioni.
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La replica di Apple non si è fatta attendere, affidata alle pagine del sito Fast Company che ha pubblicato la denuncia di NNEDV. La riportiamo di seguito in forma tradotta.
Prendiamo molto seriamente in considerazione la sicurezza dei clienti e siamo impegnati per garantire la privacy e la sicurezza con AirTag. AirTag è progettato con un set di funzionalità proattive per scoraggiare tracciamenti indesiderati, una prima assoluta dell’industria, inoltre la rete Find My include un sistema intelligente e regolabile con deterrenti che si applicano a AirTag, così come a prodotti di terze parti che fanno parte del programma per gli accessori della rete Find My. Stiamo alzando l’asticella in merito alla privacy dei nostri utenti e dell’industria, speriamo altri ci seguano.