Al via nuove crociate contro il P2P

Al via nuove crociate contro il P2P

Non ci sono più lacci che impediscano ai discografici statunitensi di dare la caccia al singolo utente dei sistemi di condivisione. I provider devono rivelare l'identità dei clienti anche senza l'intervento di un magistrato. Terremoto
Non ci sono più lacci che impediscano ai discografici statunitensi di dare la caccia al singolo utente dei sistemi di condivisione. I provider devono rivelare l'identità dei clienti anche senza l'intervento di un magistrato. Terremoto


Roma – Non c’è privacy o politica aziendale che tenga: quando un detentore di copyright chiede il nome di un utente, il suo provider deve consegnarlo se in gioco c’è una possibile violazione di diritti di proprietà intellettuale, come può accadere se l’utente sfrutta sistemi di file-sharing. Questo il senso di una sentenza con cui nelle scorse ore un provider americano, Verizon, è stato obbligato a identificare un proprio cliente e consegnare quei dati nelle mani dei discografici della RIAA .

La sentenza, che si appoggia totalmente sul famigerato Digital Millennium Copyright Act, che in pratica consente ai detentori di copyright di ottenere quei dati senza dover ricorrere ad un magistrato, apre dunque le porte all’effettiva applicabilità della norma. La RIAA, infatti, aveva chiesto a Verizon quel nome ma il provider si era opposto, venendo così trascinato in tribunale dove ora ha perso la causa.

Verizon, che come tutti i provider ha la necessità di offrire garanzie e tutele ai propri clienti, ha tentato di sostenere il proprio diritto a non sobbarcarsi oneri aggiuntivi di identificazione e gestione di dati in assenza di una esplicita richiesta della magistratura.

L’utente di cui la RIAA ha chiesto la “testa” è accusato dai discografici di aver messo a disposizione attraverso KaZaa almeno 600 brani di numerosi artisti, in aperta violazione delle leggi americane sul diritto d’autore.

Da questo momento in poi, dunque, i discografici avranno vita molto più facile nel perseguire una politica tesa a identificare e sanzionare direttamente non solo le aziende coinvolte nel file-sharing ma anche i singoli utenti che utilizzano questi sistemi.

La reazione dei provider statunitensi è per ora tenue e si limita a far notare come in questo modo sugli ISP venga riversato l’ingiusto onere di collaborare “a tempo pieno” con una istituzione come la RIAA sostenendo per questo costi addizionali. Senza contare naturalmente i danni di immagine che ora Verizon dovrà scontare per non essere riuscita a proteggere l’identità del proprio cliente.

Della clamorosa vicenda si sta occupando in queste ore naturalmente tutta la stampa americana, che riporta anche le perplessità di alcuni esperti di diritto che, come la professoressa Jessica Litman sul NYTimes, ritengono “preoccupante” l’aumento del numero di atti giuridicamente rilevanti che possono essere condotti senza l’intervento di un magistrato.

La vittoria della RIAA arriva a pochi giorni dalle pesanti dichiarazioni del suo chairman, Hilary Rosen, secondo cui i provider dovrebbero essere “tassati” perché danno accesso ai sistemi di condivisione dei file. Una posizione che ha scatenato le ire non solo dei provider ma anche di organismi come la Business Software Alliance, secondo cui colpire gli ISP non ha senso perché, anzi, con gli ISP occorre collaborare…

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Pubblicato il
23 gen 2003
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