No, all’Associazione italiana per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva, la storica ALCEI, l’ordinanza di dissequestro del sito di The Pirate Bay non è piaciuta per niente. Oltre a disporre la fine di ogni inibitoria all’accesso al sito della Baia , infatti, nel testo della decisione dei giudici di Bergamo ALCEI ravvisa nuove minacce alle libertà digitali .
È un altolà quello di ALCEI: in un comunicato l’Associazione spiega di ritenere che con questa ordinanza sia passato in giurisprudenza il principio per il quale si possa essere indagati sulla base di ipotesi statistiche , un principio considerato pericoloso dall’Associazione, perché aggirerebbe la necessità di raccogliere prove concrete in una indagine penale di questo genere. Il riferimento è alle ipotesi formulate in sede d’accusa sulla relazione tra il numero di accessi al sito della Baia e quello dei possibili illeciti commessi attraverso il sito dai suoi utenti.
“Il Tribunale del riesame di Bergamo – scrive l’Associazione nella sua nota – ha sì annullato il sequestro, ma solo sul presupposto – peraltro già evidenziato da ALCEI – che sequestro non equivale a filtraggio del traffico . Ma si è ben guardato, come avrebbe dovuto, dal valutare la sussistenza della giurisdizione italiana. Omettendo di decidere, il Tribunale di Bergamo ha creato un pericolosissimo precedente che – sulla base del principio di reciprocità – consente a qualsiasi giudice straniero di mettere sotto processo un cittadino italiano, perché pur in assenza di prove certe che un reato sia stato commesso, basta un calcolo statistico “.
Allo stesso modo ALCEI ritiene che con quella ordinanza si avalli il fatto che un sito possa essere oscurato senza il provvedimento di un magistrato. Quest’ultimo, sottolineano a Punto Informatico i responsabili dell’Associazione, è un orientamento auspicato da sempre dall’industria dei contenuti, ma è anche un nodo attorno al quale si sono giocate e si giocano tuttora importanti battaglie giudiziarie, che certo non si esauriscono sul fronte dei diritti d’autore. Il riferimento è all’ormai celeberrimo caso dell’oscuramento del blog di Carlo Ruta : oltre ad essere un principio pericoloso per le libertà digitali, sostiene ALCEI, ora è anche un pezzo di giurisprudenza goloso per chi vorrà in futuro attaccare questa o quella attività online.
Non solo, poiché The Pirate Bay già in fase d’accusa veniva descritto come un motore di ricerca , il fatto che l’ordinanza del Tribunale del riesame confermi i termini dell’investigazione del PM, si traduce, secondo ALCEI, nell’affermazione di una responsabilità automatica “dei gestori di motori di ricerca e la possibilità di usare, nelle indagini, dati e informazioni privi di riscontri”.
Secondo ALCEI, inoltre, ad aggravare la situazione il fatto che nell’ordinanza, pur definendo erroneo nella forma il decreto di sequestro preventivo, si affermi anche che è “astrattamente in linea con la previsione degli artt. 14 e ss. D.L.vo 70/03”. Secondo l’Associazione questo significa “da un lato fornire la scusa ai padroni delle idee per invocare l’ennesima modifica repressiva della legge sul diritto d’autore e/o del codice di procedura penale; mentre dall’altro consolida un palese errore di interpretazione della legge, perché configura sui fornitori di accesso l’obbligo di diventare sceriffi della rete “.
L’Associazione, che si chiede anche in tutto questo che fine abbia fatto il Garante per la privacy a cui ALCEI aveva inoltrato un esposto nel corso delle indagini, conclude esprimendo preoccupazione per un provvedimento che – dice – non fornisce chiarimenti ed anzi aumenta la confusione in materia di diritto d’autore, un ambito nel quale la percezione, scrive l’Associazione, è che “la legge non sia uguale per tutti”.