Nulla si potrà contro il volto inquisitorio del personale della dogana statunitense, nessuna rassicurazione basterà a dissuadere l’agente dalla perquisizione del proprio laptop qualora avesse arbitrariamente deciso di avere di fronte una persona sospetta. Chiederà al malcapitato di accendere il computer, si parerà di fronte allo schermo, si farà largo nella vita digitale dell’utente e rovisterà l’intero hard disk alla ricerca di file compromettenti.
A confermare la liceità del comportamento degli agenti di frontiera è stata una decisione Nona Sezione della Corte Federale di Appello degli Stati Uniti, epilogo di un caso che si trascina da anni. Nel 2005 tale Michael Arnold, di ritorno dalla Filippine con il proprio portatile, un hard disk esterno e qualche CD, era stato bloccato dal personale della dogana dell’aeroporto di Los Angeles. Gli era stato intimato di favorire il computer acceso . Un doganiere aveva iniziato a rovistare fra i file dell’uomo e aveva individuato delle immagini pedopornografiche. Si era immediatamente proceduto alla confisca del laptop e dei dispositivi di archiviazione per il proseguimento delle indagini.
Arnold si era successivamente rivolto alla magistratura: aveva sostenuto che un computer si sarebbe dovuto considerare come una estensione della propria mente , come uno stralcio della propria vita . Nel computer albergano pensieri che si possono esplorare solo se l’individuo decide di collaborare, solo se colui che pone delle domande è nella posizione di farlo senza violare alcun diritto. Allo stesso modo dovrebbe essere trattata la ricerca in un computer. In un primo tempo i giudici avevano dato ragione ad Arnold, ma la decisione del tribunale è stata messa in discussione.
Si è così giunti alla Nona Sezione della Corte Federale di Appello, alla decisione che conferma la legittimità degli agenti che presidiano i confini statunitensi. Il tribunale ha stabilito che “possono esaminare il contenuto elettronico del computer portatile di un passeggero anche se non nutrono nei suoi confronti un ragionevole sospetto”. I dispositivi di archiviazione sono infatti stati paragonati a valigie e portafogli , i documenti archiviati equiparati a foglietti, scartoffie, fotografie e pellicole che gli agenti possono esaminare frugando nelle valigie. “Le ispezioni effettuate alle frontiere – ha spiegato il giudice – sono da considerare ragionevoli anche solo per il fatto che vengano effettuate alle frontiere”.
Arnold sarà giudicato anche sulla base delle prove individuate nel suo computer e coloro che valicheranno i confini degli States dovranno prepararsi al meglio alle perquisizioni digitali di laptop, hard disk, telefonini, macchine fotografiche. Dovranno mettere al sicuro documenti preziosi, proteggere file riservati da occhi indiscreti, effettuare copie di backup di contenuti indispensabili: i dispositivi di turisti, professionisti e uomini d’affari sono esposti ad invasive perquisizioni e lunghi sequestri. Potrà essere chiesto loro di fornire la chiave per accedere a documenti cifrati: per poter difendere i propri diritti dovranno imparare a conoscerli, dovranno sapere che la Costituzione li potrebbe proteggere dal rivelare una password.
I setacci che gli States hanno approntato alla frontiere sono costantemente nel mirino delle associazioni che tutelano i diritti dei cittadini: Electronic Frontier Foundation ( EFF ) e Asian Law Caucus ( ALC ) si sono recentemente scagliate contro le pratiche inquisitorie condotte presso le dogane. Chiedono di fare chiarezza sulle motivazioni che giustificano il fatto che presso le frontiere il cittadino perda i propri diritti: “la libertà di esprimersi e il diritto alla privacy – lamentava un legale di ALC – scompaiono sulle soglie del nostro paese”.
Gaia Bottà
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