C’è una video-inchiesta che è stata recentemente caricata su YouTube dall’associazione a difesa dei consumatori Altroconsumo. Una breve serie di domande e risposte, protagonisti alcuni italiani. “Usa il suo cellulare anche per ascoltare musica?”, viene chiesto poco dopo l’inizio del filmato. “No” è la risposta secca. “No, no, lo uso solo per chiamate e messaggi, proprio la base insomma”, ha risposto un altro intervistato.
Si tratta di domande preliminari poste da Altroconsumo ai comuni cittadini del Belpaese, prima di focalizzare l’attenzione sulla prossima firma definitiva del ministro per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi sul decreto che prevede l’applicazione del cosiddetto equo compenso anche a cellulari e dispositivi simili. Un sovrapprezzo, nelle parole di Altroconsumo, pensato per compensare i mancati introiti per gli autori dovuti alle copie per uso privato.
Un obolo che porterebbe – sempre secondo l’associazione a tutela dei consumatori – nelle casse della SIAE oltre 250 milioni di euro l’anno . Si tratterebbe di un provvedimento profondamente ingiusto, dice l’associazione, che andrà a colpire apparecchi elettronici d’uso comune come decoder, computer, console per videogame e telefoni cellulari. Per Altroconsumo, questa tassa verrebbe applicata ad apparecchi che solo alla lontana hanno a che fare con la musica e quant’altro sia tutelato dal diritto d’autore.
“Se è vero che ad esempio un cellulare può contenere file mp3 – si legge in un articolo sul sito ufficiale – è anche vero che la stragrande maggioranza delle persone lo utilizza soprattutto per telefonare”. Ma a SIAE questo probabilmente non risulta, dato che le sue orecchie sono maggiormente concentrate su un’altra inchiesta, condotta nel 2009 : i cellulari con supporto multimediale sono più utilizzati (19 per cento) per sentire la musica dello stesso iPod (18 per cento), ovvero del lettore più diffuso.
Per Altroconsumo, quello dell’equo compenso sarebbe un meccanismo assurdo e obsoleto , lontano dal mondo digitale reale. In primis, verrebbe istituita una sorta di presunzione di colpevolezza , tassando preventivamente l’utente per un danno ai detentori che potrebbe non essere affatto stato commesso. Successivamente, il decreto non terrebbe minimamente in considerazione l’attuale esistenza di restrizioni tecnologiche alla copia privata .
I pagamenti sarebbero dunque doppi, tripli, quadrupli. Il meccanismo del DRM esiste già, insieme a casi in cui il diritto alla copia sia previsto e remunerato a mezzo licenza. Infine, si tratterebbe di un meccanismo poco trasparente , che fornisce scarse informazioni all’utente e non chiarisce come avviene la distribuzione agli autori delle somme provenienti dall’equo compenso.
Altroconsumo è poi passato al problema costi. “Saranno gli esercenti a farsi carico di questo costo aggiuntivo o verrebbe girato sul consumatore finale?”, è stata la domanda posta a Roberto Montorio, direttore del punto vendita Darty Bicocca. “Penso che all’inizio questo potrebbe essere assorbito dagli esercenti – ha risposto Montorio – però poi, inutile nasconderlo, il consumatore finale potrà magari godere di una minore scontistica o condizioni di minor favore”. In una situazione economica come quella attuale, a suo dire, anche un piccolo balzello frenerebbe il commercio .
Marco Pierani, responsabile delle relazioni esterne istituzionali di Altroconsumo, ha poi fatto presente che gli italiani già pagano oltre 70 milioni di euro di equo compenso su CD vergini e altri supporti . “Natale è tempo di regali – ha concluso Pierani – ma non con i soldi dei consumatori e soprattutto non alla SIAE”.
“Lei sa che c’è una tassa su questi cd che va alla SIAE?”, ha chiesto l’intervistatore all’ultimo cittadino del video, fermato subito dopo l’acquisto di alcuni supporti destinati al backup dei dati sul proprio computer. “Eh, no. Non lo sapevo – ha risposto l’intervistato – non vedo cosa c’entri la SIAE col mio pc”.
Mauro Vecchio