Le interazioni tra l’assistente domestico Amazon Echo e coloro che gli impartiscono ordini, le conversazioni che incidentalmente vengono catturate dal dispositivo e depositate nel cloud sono protette dai diritti fondamentali del cittadino: per questo motivo, rassicurando gli utenti del fatto che gli assistenti domestici non siano cimici pronti a tradirli, Amazon si oppone al rilascio dei dati in proprio possesso alle autorità che stanno indagando su un caso di presunto omicidio.
Il caso per cui Amazon è stata chiamata a consegnare i dati raccolti dall’assistente domestico e stoccati sulla propria infrastruttura connessa risale al 2015: un uomo era stato trovato affogato nella casa di un conoscente, in Arkansas, e l’assistente domestico Amazon Echo, con il proprio sistema di microfoni e con le proprie registrazioni attivate dalla declamazione della parola chiave, avrebbe potuto custodire degli elementi utili per risolvere il caso. Amazon era stata sollecitata a consegnare i dati in proprio possesso, tutte le registrazioni e le interazioni con l’assistente domestico per le 48 ore nell’intorno del presunto delitto, e dopo un primo rifiuto si è ora opposta formalmente con un ricorso.
Nel documento depositato da Amazon si incentrano le motivazioni del rifiuto a consegnare i dati sul diritto alla privacy e sulla stretta connessione che la lega con i diritti sanciti dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Amazon osserva in primo luogo che i comandi impartiti e le risposte dell’assistente digitale, custodite sull’infrastruttura cloud siano inscindibilmente legati: ricercare e ottenere informazioni , ricorda l’azienda, sono diritti protetti dal Primo Emendamento della Costituzione, che sancisce non solo il diritto alla libera espressione, ma anche il diritto ad informarsi, senza timore di intrusioni da parte di terzi, autorità comprese.
In sostanza, argomenta Amazon, se il cittadino teme che le autorità possano accedere liberamente a tutte le conversazioni tenute nell’intimo della propria abitazione, registrate qualora Echo si attivi con la parola chiave, e possano accedere alle domande e alle risposte più scomode poste all’assistente digitale, avrà la sensazione di essere sottoposto ad un controllo pervasivo , sensazione che inevitabilmente incide sulla libertà con cui sceglierà di esprimersi, di documentarsi, di informarsi, soprattutto attraverso strumenti che possano tenere traccia di tutti i suoi comportamenti .
Proprio allo scopo di garantire questo diritto, e al fine di rassicurare utenti e potenziali utenti riguardo alla discrezione del proprio servizio, Amazon specifica che è concesso monitorare tutte le registrazioni di Echo mediante l’applicazione dedicata all’assistente digitale Alexa, che di fatto anima Echo: attraverso l’applicazione l’utente può riascoltare ogni contenuto registrato e visionare le trascrizioni di ciascuna interazione, per poi procedere alla cancellazione degli elementi desiderati che risiedono sui server di Amazon.
Le richieste delle forze dell’ordine, argomenta Amazon, investono dati protetti dal Primo Emendamento della Costituzione: per concedere questo genere di informazioni si deve dimostrare che sussista un interesse determinante all’accesso ai dati per gli inquirenti e si deve rilevare una connessione solida fra questi dati e il caso da risolvere. Per questo motivo Amazon chiede che la richiesta di accesso ai dati delle forze dell’ordine venga respinta, e in caso contrario, che il tribunale analizzi i dati prima di consegnarli alle forze dell’ordine, così da evitare che informazioni protette dal Primo Emendamento vengano diffuse senza opportune giustificazioni.