Se si pensa all’enorme volume di pacchi, scatole e pacchetti che Amazon movimenta ogni giorno in tutto il mondo non è difficile immaginare come apportare un’ottimizzazione anche minima nel processo di spedizione possa avere conseguenze importanti sull’impatto complessivo della sua attività. Il gruppo di Seattle lo sa bene e intende agire nella direzione della sostenibilità annunciando il progetto Shipment Zero.
Amazon, svolta green per l’e-commerce
L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a ridurre del 50% le emissioni legate alle spedizioni dei prodotti acquistati online entro la fine del prossimo decennio. Il colosso dell’e-commerce lo farà mettendo in campo una serie di iniziative che, va detto, al momento non sono ancora state illustrate nel dettaglio. Condividerà pubblicamente informazioni sui progressi raggiunti. Si prospetta dunque all’orizzonte una svolta green per quello che attualmente è uno tra i principali player nel settore del commercio elettronico, il più importante se non si tengono in considerazione i big del continente asiatico.
Grazie a miglioramenti relativi a veicoli elettrici, carburanti bio per l’aviazione, pacchi riutilizzabili ed energia rinnovabile, per la prima volta possiamo definire il percorso verso il traguardo “carbonio zero” per quanto riguarda le spedizioni ai clienti e fissiamo per noi stessi un obiettivo ambizioso: il 50% delle spedizioni Amazon “carbonio zero” entro il 2030.
Amazon dichiara di aver sviluppato nel corso degli ultimi due anni un avanzato modello scientifico in grado di valutare l’impatto della propria attività sull’ambiente, individuando i punti critici e suggerendo su quali aspetti intervenire in modo prioritario. Entro la fine dell’anno verranno inoltre pubblicate documentazioni sulla carbon footprint del gruppo per meglio comprendere come il suo operato stia andando a impattare sull’ambiente.
Su data center e cloud c’è da lavorare
L’annuncio dell’iniziativa Shipment Zero arriva a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione del report Clicking Clean Virginia di Greenpeace in cui viene preso in esame il funzionamento dei data center. Un tema che interessa da vicino anche l’azienda di Jeff Bezos che proprio nelle soluzioni cloud ha una delle sue principali fonti di reddito, con la divisione Web Services. L’organizzazione ambientalista sottolinea come la struttura gestita dal gruppo, in particolare quella operativa in Virginia, sia al momento alimentata con energia prodotta non in modo rinnovabile, nonostante l’impegno assunto nel 2014 di arrivare al 100% della fornitura da fonti pulite.