Sono trascorsi ormai quattro anni e mezzo dall’arrivo della pandemia, un’emergenza che ha stravolto la quotidianità di tutti noi, anche di chi ha avuto la fortuna di non incrociare il proprio cammino con quello del COVID-19. Il mondo della scuola ha cercato di andare avanti attraverso l’adozione della didattica a distanza, garantendo continuità all’attività educativa, per quanto possibile. Quello del lavoro, invece, abbracciando il mantra dello smart working, talvolta con un successo inatteso, tramutatosi in profitti che senza l’allarme sanitario non sarebbe nemmeno stato possibile immaginare. Guardando avanti, ora che la situazione è sotto controllo, cosa resterà di queste modalità operative, attuate in fretta e furia per rispondere a una criticità, ma che per molti sono diventate routine?
Lo smart working non fa per Amazon: ritorno in ufficio
L’esempio di Amazon è emblematico. Andy Jassy, CEO del gruppo, ha appena annunciato che il ritorno in ufficio sarà obbligatorio per tutti i dipendenti, cinque giorni a settimana (fino a oggi erano tre).
… abbiamo deciso che torneremo a lavorare in ufficio come facevamo prima dell’arrivo del COVID.
La policy sarà in vigore a partire dal 2 gennaio 2025 e prevede un’eccezione solo per i casi eccezionali. L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la cultura aziendale e i team
attraverso un quotidiano rapporto di vicinanza fisica.
Se l’annuncio arriva dal colosso del cloud, l’infrastruttura stessa su cui poggiano le piattaforme impiegate per lo smart working, non può che costituire uno spunto di riflessione. Significa che da casa si lavora male o con discontinuità? O quantomeno peggio? Isolarsi dalle distrazioni che un ufficio porta inevitabilmente con sé può essere, in alcuni casi, vantaggioso, un beneficio per la produttività? Oppure non lo è in alcun caso?
Il dibattito rimane acceso, tra i sostenitori dell’una e dell’altra teoria. Come spesso accade, forse, la verità sta nel mezzo: per alcuni ruoli il lavoro da remoto può costituire la migliore modalità possibile sia per l’azienda sia per il dipendente, in altre occasioni può effettivamente essere preferibile l’attività in presenza.
Amazon ha però deciso di non fare distinguo e di applicare la policy a tutti. Va detto che non è il solo big tecnologico a non credere nello smart working. Jassy è in buona compagnia. Al suo fianco ci sono, tra gli altri, i CEO di IBM e di Tesla. Una visione condivisa anche fuori dall’ambito tech: è memorabile l’uscita dell’allora ministro Renato Brunetta, datata 2022, che definì fannulloni
tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione attivi da casa.