Negli Stati Uniti, una madre ha deciso di citare in giudizio Amazon dopo che il figlio si è tolto la vita con una componente chimica acquistata sullo store online dell’azienda. Il caso di suicidio, non l’unico per le sue modalità, pone il colosso dell’e-commerce in una posizione scomoda. Il prodotto in questione, che volutamente non citeremo, non rientra però in alcuna lista delle sostanze messe al bando. Ormai da qualche anno (dal 2017) è menzionato da diversi siti che spiegano nel dettaglio in che modo abusarne con esiti fatali.
Una sostanza per il suicidio in vendita su Amazon
La replica del gruppo non si è fatta attendere ed è stata affidata alle pagine del New York Times, che nei giorni scorsi ha posto in risalto la vicenda rendendola di pubblico dominio. In breve, trattandosi di un conservante alimentare liberamente reperibile in commercio, la sua distribuzione non può essere in alcun modo limitata se non in seguito a un formale intervento a livello legislativo.
A tal proposito, è comunemente utilizzato per conservare cibi come carne e pesce, può essere anche impiegato nei laboratori come reagente. Si tratta di un prodotto largamente disponibile offerto dai venditori e, sfortunatamente, come molti altri prodotti può essere utilizzato in modo improprio.
Una visione ribadita dalle parole di Brian Huseman, Vice President Public Policy per Amazon, con la dichiarazione affidata al sito CNET che riportiamo di seguito in forma tradotta. Viene nuovamente fatto riferimento al pieno rispetto delle normative vigenti.
Tutti i prodotti venduti nel nostro store devono risultare conformi alle leggi e alle regole in vigore, abbiamo un severo programma di sicurezza per proteggere i nostri clienti.
Un caso anche in Italia
In Italia, il Giornale di Vicenza attribuisce alla stessa sostanza il suicidio di un ragazzo diciottenne avvenuto nell’aprile 2021. Negli USA, la scorsa settimana sette membri del Congresso hanno inviato una lettera al CEO Andy Jassy ponendo una serie di domande in merito alla questione. Da sottolineare che la stessa componente è stata scovata in passato anche sulle bacheche di eBay ed Etsy, con quest’ultima che comunica di averla messa al bando nel novembre 2020.
La posizione di Amazon è legittima: operando in modo conforme a quanto stabilito dalla legge, può allontanare qualsiasi responsabilità per l’utilizzo improprio di ciò che è acquistabile attraverso la piattaforma gestita.
Non possiamo però al tempo stesso fare a meno di ricordare che, per ragioni di natura ben diversa, l’azienda ha in passato impedito la distribuzione di prodotti specifici. Ricordiamo ad esempio l’assenza prolungata dei Google Chromecast dal catalogo per motivi legati alla concorrenza e l’estromissione di brand ritenuti colpevoli di aver alimentato un giro di recensioni false. È davvero fuori luogo chiedere sia riservato lo stesso trattamento a una sostanza che, seppur legalmente commerciabile, sta mietendo giovani vite?