Roma – Un appello al Governo cinese perché vengano immediatamente rilasciati i cittadini che sono stati incarcerati per aver utilizzato Internet per esprimere le proprie opinioni. Questo il senso di una iniziativa dell’organizzazione internazionale per i diritti umani Amnesty International, che corre parallela al rilascio di un nuovo rapporto sulla situazione in Cina.
Secondo Amnesty, la situazione delle libertà civili in Cina quando si parla di Internet è ancora più grave di quanto già accade nell’off-line. Francesco Visioli, che si occupa della Cina per la divisione italiana dell’organizzazione, attacca: “Chiunque sia detenuto solo per aver pacificamente diffuso su Internet le proprie opinioni o altre informazioni o per aver visitato determinati siti è un prigioniero di coscienza e dev’essere rilasciato immediatamente e senza condizioni”. Parole che si scontrano con la consolidata prassi del regime pechinese, iperattivo nel reprimere condotte considerate “pericolose per la sicurezza nazionale”.
In un rapporto diffuso nelle scorse ore, dal titolo Repubblica Popolare Cinese: il controllo dello Stato su Internet , Amnesty segnala i casi di almeno 33 persone arrestate o condannate per reati relativi a Internet: si tratta di attivisti politici, scrittori ed appartenenti a organizzazioni non ufficiali, tra cui il movimento spirituale Falun Gong.
Una delle sentenze più pesanti è quella che ha colpito un ex agente di polizia, Li Dawei, condannato a 11 anni di carcere per aver scaricato articoli dai siti Internet dei movimenti democratici cinesi all’estero. Tutti i suoi appelli sono stati respinti.
Il rapporto di Amnesty denuncia anche i casi di due seguaci del Falun Gong, detenuti per reati relativi a Internet, presumibilmente deceduti a seguito di torture o maltrattamenti da parte della polizia. Il Falun Gong è stato bandito come “organizzazione eretica” nel luglio 1999.
“Mentre l’industria di Internet continua ad espandersi in Cina – continua Visioli – il governo prosegue a intensificare i controlli sull’informazione on-line con misure come il filtro o il blocco di siti stranieri, l’istituzione di corpi speciali di polizia, il blocco di motori di ricerca e la chiusura di siti che pubblicano informazioni sulla corruzione o articoli critici nei confronti del governo”.
Secondo Amnesty, oggi molti cinesi rischiano l’arresto arbitrario e l’imprigionamento e in certi casi potrebbero subire persino clamorose condanne a morte.
L’organizzazione per i diritti umani ha anche espresso la propria preoccupazione per il fatto che alcune società straniere avrebbero venduto alla Cina la tecnologia che è stata usata per censurare Internet. “In un momento in cui il ruolo della Cina come partner economico e commerciale è in crescita – insiste Visioli – le multinazionali hanno una particolare responsabilità nell’assicurare che la loro tecnologia non sia utilizzata per violare i diritti umani fondamentali”.