Condannato in Svezia per cracking, riguadagnerà la libertà solo per essere condotto in Danimarca, per affrontare un secondo processo nel quale dovrà difendersi dalle stesse accuse: Gottfrid Svartholm, il fondatore di The Pirate Bay altresì noto come Anakata, sta giocando tutte le sue carte per scampare l’estradizione e la condanna che potrebbe conseguirne.
La giustizia svedese, solo il mese scorso, ha formulato la condanna definitiva nei confronti di Svartholm. La prima sentenza chiedeva per Anakata due anni di carcere per cracking, truffa aggravata, e tentata truffa aggravata ai danni dei database di Logica, fornitore di servizi per la gestione dei dati dei contribuenti svedesi, e dei sistemi di Nordea Bank AB. La corte d’appello cui si era rivolto l’hacker aveva però dimezzato la pena , ammettendo che non si potesse dimostrare che Anakata avesse operato per attaccare i sistemi bancari di Nordea: un cracker avrebbe potuto agire assumendo la sua identità per perseguire il losco intento. Il periodo di detenzione di Svartholm terminerà all’inizio del nuovo anno: ad attenderlo, l’estradizione verso la Danimarca , dove un nuovo processo stabilirà il ruolo di Anakata nella pubblicazione di informazioni relative a dipendenti delle forze di polizia e della pubblica amministrazione locali sottratte ai database gestiti dal contractor statunitense CSC.
Anakata, che per il caso danese rischia una condanna che potrebbe raggiungere i sei anni di carcere, ha vergato una lettera aperta rivolta alle autorità del suo paese d’origine segnalando come le accuse mosse nei suoi confronti non siano supportate da un procedimento chiaro ed equo. Le accuse delle autorità danesi sarebbero pressoché identiche a quelle da cui è stato liberato con l’ultimo pronunciamento dei tribunali svedesi: anche Copenhagen potrebbe trovarsi costretta a riconoscere che la responsabilità è da attribuire a terzi, responsabili altresì di un furto d’identità ai danni dello stesso Anakata. I documenti legali allegati al mandato di arresto emesso dalla giustizia danese, inoltre, secondo Anakata sarebbero incompleti: non vi si specificherebbero le circostanze del misfatto, e numerosi documenti, redatti in sola lingua danese, resterebbero incomprensibili per l’hacker.
“L’estradizione, se messa in atto prima che non si sia fatto luce su queste questioni, – scrive Anakata – violerebbe le leggi internazionali e quanto è garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre del 1950”. Non bastasse la missiva indirizzata alle autorità svedesi, Svartholm ha presentato un ricorso alla Corte Suprema svedese, affinché valuti il suo caso.
Gaia Bottà