Taiwan ha deciso di mettere al bando le applicazioni di instant messaging straniere dai PC governativi, una misura contro i potenziali pericoli di sicurezza connessi all’uso del software non prodotto “in casa”. Nel frattempo, la cinese Xiaomi è stata messa nel mirino e potrebbe presto essere messa anch’essa al bando dal paese. Anche l’isola si è fatta dunque contagiare dall’allarmismo da cyber-warfare che caratterizza l’epoca post- Datagate , un fenomeno che nella variante dell’isola asiatica prende di mira sia i prodotti occidentali che i produttori cinesi, come il caso della già citata Xiaomi dimostra.
MSN e il software giapponese Line risultano nell’elenco dei prodotti colpiti dal bando dei client, bando che è bene sottolineare non include in alcun modo i PC domestici o personali. La questione Xiaomi, invece, è più complessa e ancora in divenire. Il produttore cinese di smartphone è finito recentemente sotto osservazione per lo scambio di informazioni fra i terminali e i server localizzati a Pechino, in Cina, e questo passaggio indebito di bit potrebbe essere classificato da Taipei come un rischio per la sicurezza nazionale.
Le autorità taiwanesi hanno chiesto spiegazioni a Xiaomi, ma in passato Xiaomi aveva già giustificato le comunicazioni del suo servizio MIUI Cloud Messaging da e verso i server in Cina tentando di dissipare le preoccupazioni.
In attesa di conoscere ulteriori sviluppi, lo scontro Taiwan-Xiaomi può essere classificato come l’ennesimo frutto avvelenato dell’ostracismo internazionale nei confronti della tecnologia cinese, un ostracismo guidato dagli Stati Uniti sempre pronti ad accusare gli hacker di stato orientali per incidenti e intrusioni non autorizzate nelle organizzazioni e aziende americane. La Cina ha sin qui risposto alle accuse abdicando alle proprie mire espansionistiche sul territorio statunitense e mettendo nel mirino i colossi IT americani : una vera e propria guerra commerciale?
Alfonso Maruccia