Correva l’anno 2008, Steve Jobs aveva da poco presentato la versione 3G di iPhone e nelle nostre tasche facevano bella mostra i feature phone dalle caratteristiche più disparate. In pochi avrebbero scommesso su una nuova piattaforma in grado di controbattere all’allora appena nato iOS (inizialmente battezzato iPhone OS). In questi giorni si celebrano invece i primi dieci anni di un sistema operativo capace di arrivare a fagocitare la fetta più grande di market share: Android.
Android: le origini
Il 23 settembre è la data scelta per la ricorrenza, poiché in quel giorno nell’ormai lontano 2008 veniva annunciato al mondo il primo smartphone basato sulla piattaforma: l’iconico HTC Dream, meglio conosciuto in alcuni paesi come T-Mobile G1. Per comprendere quanto il panorama mobile sia da allora mutato è sufficiente pensare alla parabola disegnata proprio da HTC, arrivato prima ad assumere un ruolo da protagonista assoluto nel settore per poi progressivamente veder contrarre il proprio business.
Per dirla tutta il progetto Android ha radici più lontane e per come era stata inizialmente immaginata la piattaforma nemmeno avrebbe dovuto essere destinata al mercato della telefonia. A gettare le basi sono stati Andy Rubin, Rich Miner, Nick Sears e Chris White, con la fondazione nell’ottobre 2003 di una società il cui scopo era quello di creare un sistema operativo avanzato da destinare alle fotocamere digitali.
La virata verso il mobile avvenne qualche mese più tardi, in conseguenza a valutazioni di natura economica, mettendo nel mirino concorrenti come l’allora onnipresente Symbian e l’ecosistema Windows Mobile di Microsoft. Google ne ha ben presto intravisto il potenziale, arrivando all’acquisizione dell’azienda nel luglio 2005, a fronte di un investimento economico quantificato in circa 50 milioni di dollari. Il resto è storia.
I dieci anni del robottino verde
Oggi Android detiene l’88% del market share nel territorio mobile, lasciando al competitor di Apple quasi tutto il restante 12% (fonte Statista). Una crescita progressiva, quella del robottino verde, spinta dalla sua natura open (talvolta messa in discussione) che ha permesso a tutti i produttori di integrare il software nei dispositivi commercializzati, andando così a coprire pressoché qualsiasi fascia di mercato, dagli entry level ai top di gamma, passando per un’infinità di opzioni intermedie. Il grafico seguente ben rappresenta l’andamento del mercato nell’ultimo decennio.
Lo strapotere del robottino verde ha portato come conseguenza un’adozione sempre più capillare dei servizi offerti da Google. Una dinamica finita in diverse occasioni sotto la lente d’ingrandimento delle autorità incaricate di tutelare la libera concorrenza, soprattutto nel vecchio continente, con indagini che si sono protratte per diversi anni, alcune delle quali ancora in corso.
Al tempo stesso, il gruppo di Mountain View ha scelto di ampliare il raggio d’azione di Android, andando ben oltre i confini segnati dal territorio mobile: ne sono testimonianza la nascita di versioni sviluppate ad hoc per adattarsi a tipologie di dispositivi differenti come Android Wear (ora Wear OS) per gli smartwatch, Android Auto per le dashboard dei veicoli e Android TV per televisori e set-top box.
Bugdroid, la mascotte
Quel robottino verde oggi all’opera in oltre due miliardi di device attivi nel mondo si chiama Bugdroid. La mascotte della piattaforma è stata realizzata dalla designer Irina Blok, partendo da una fonte d’ispirazione piuttosto curiosa: le icone presenti sulle porte dei bagni pubblici per distinguere con un rapido sguardo quelli destinati agli uomini e alle donne. Ne è risultata un’immagine di certo più efficace rispetto al Dandroid (qui sotto) concepito da Dan Morrill nel 2007, primo vero logo di Android, mai utilizzato da bigG. Fortunatamente.
Il futuro di Android
Difficile ipotizzare l’evoluzione di Android da qui ai prossimi dieci anni. Di certo il progetto continuerà a mutare la propria natura in modo da adattarsi a nuove esigenze, nuovi trend e nuovi form factor, come visto fino ad oggi, anche passando da qualche iniziativa incapace di riscontrare il successo auspicato: citiamo il Nexus Q per l’intrattenimento multimediale (che ha però gettato le basi per la nascita di Chromecast) o la release Honeycomb destinata esclusivamente ai tablet come esempi più lampanti.
È comunque probabile che la piattaforma continui a mantenere il focus sul territorio mobile. Di certo rimane la piaga della frammentazione come principale tallone d’Achille su cui lavorare, passando attraverso una più stretta collaborazione con i partner più volte invocata da Google, ma che ancora fatica a dare i suoi frutti. Non è nemmeno da escludere che nel 2028 saremo qui a parlare di smartphone come di un bel ricordo passato, dispositivi ai quali guardare con un pizzico di nostalgia, proprio come oggi facciamo con i feature phone degli anni ’00.