Meno del 10 per cento dei 1,4 miliardi di dispositivi Android attualmente in circolazione è protetto da soluzioni di cifratura, contro il 95 per cento dei device Apple. A riferirlo è un’ analisi del Wall Street Journal che affronta l’argomento nell’ambito del dibattito incentrato sull’iPhone del killer di San Bernardino, che fa emergere le difficoltà di bilanciare le esigenze delle autorità con quelle degli utenti e la questione della crittografia di default dei dispositivi.
La conclusione del WSJ è che se il cecchino di San Bernardino avesse avuto un Android invece di un iPhone, le probabilità che le autorità avessero problemi nel decriptarlo sarebbero state molto inferiori, dal momento che pochi dispositivi con il sistema operativo di Google sono criptati.
Ciò non dipende direttamente da Google, ma dagli oltre 400 produttori dei 4000 diversi dispositivi che installano Android e a cui, a parte il branding Android e l’installazione delle app standard di Big G, viene lasciata ampia libertà: questo comporta che i dispositivi di fascia medio-bassa, preoccupati dalle performnace dei device, rinuncino a sistemi crittografici sui dati come i contatti, le foto ed i video per non appesantire il processore.
Tale situazione – ben diversa da quella di Apple che controlla sia software che hardware – cambierà in parte con l’aggiornamento all’ultima versione del sistema operativo, Android 6.0 Marshmallow, che impone la cifratura di default, ma che per il momento è installato solo sul 2,3 per cento dei device Android. D’altra parte quello della frammentazione è un altro problema noto dell’ecosistema Android: secondo la piattaforma per gli sviluppatori di Google il 36,1 per cento degli utenti Android si connette a Google Play ancora con Android 5.0 Lollipo, il 34,3 per cneto con Android 4.4 KitKat, il 22,3 per cento con Jelly Bean.
Claudio Tamburrino