Oracle rilancia le sue accuse nei confronti di Google per la presunta violazione della proprietà intellettuale legata alle API di Java e chiede ad un nuovo tribunale danni per 9,3 miliardi di dollari .
Il caso è quello che vede Google e Oracle affrontarsi per le API di Java, di cui, secondo l’accusa, Mountain View si sarebbe appropriata per implementare il suo test compatibility kit (TCK) Dalvik. A parere di Oracle, che le ha acquistate insieme a Sun System per 5,6 miliardi di dollari, l’utilizzo delle API, nonché alcune intere linee di codice riprese da Big G, sarebbero tutelate dal copyright ed in quanto tali l’impiego da parte di Google senza citazioni e limiti costituirebbe una violazione. Mountain View, da parte sua, ha cercato di sostenere davanti al tribunale che il suo utilizzo rientra pienamente nella disciplina del fair use (l’uso legittimo di un’opera consentito senza autorizzazione) e che dal momento che si tratta dell’idea in sé (l’impiego di Java) Oracle non potrebbe neanche ricorrere al diritto d’autore che in quanto tale tutela solo l’espressione di un’idea.
Dopo una prima sentenza che aveva dato ragione a Google, in secondo grado la Corte Federale aveva stabilito la tutela del copyright sulle API Java ed imposto di conseguenza l’onere della prova sul presunto fair use a Mountain View. E le cose si sono confermate come negative per Google, con la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha respinto il suo ricorso contro tale decisione.
In ogni caso la cifra richiesta da Oracle appare assolutamente esorbitante: non solo sarebbe il più grande ammontare in danni mai previsto per una causa legata al diritto d’autore, ma sarebbe superiore anche a quanto pagato in totale da Oracle per l’acquisto di Sun Microsystem , nonché ai 4,9 miliardi di dollari registrati come profitto da Alphabet nel 2015.
Secondo i documenti ora depositati presso il giudice incaricato di affrontare la questione, gli esperti di Oracle sarebbero arrivati a tale cifra calcolando “i contributi per piattaforma”, ovvero tramite un’analisi statistica di quello che Google ha pagato ad altri per “il contributo delle loro piattaforme mobile non-Android al suo sistema di advertising sui motori di ricerca”: in questo modo sono arrivati a calcolare tale somma come pari al 36 per cento del valore totale dell’advertising mobile.
Una percentuale che spetterebbe interamente ad Oracle in quanto titolare di Java: “Java – spiega il perito di Oracle James Malackowski – rappresentava allora una significativa porzione del mercato a quel tempo e Google ne ha sfruttato apertamente la familiarità e la confidenza presso l’importante pubblico degli operatori e degli OEM”.
Inoltre, sottolinea Oracle, Java aveva al tempo un proprio business legato ai sistemi operativi mobile , business cannibalizzato proprio da Google per sviluppare il suo multi-miliardario business legato ai sistemi mobile.
Tutta la questione del calcolo dei danni dovrà essere affrontata solo se il giudice riterrà che Google abbia volato i diritti di Oracle in quanto il suo utilizzo di Java non possa rientrare nel fair use.
In ogni caso sembra evidente che Oracle cerchi di puntare alto, confidando nella difficoltà dei giudici nello stabilire i danni in questioni così tecnologicamente controverse, giudici che spesso assumono una posizione salomonica ed arrivano a riconoscere danni a metà strada tra le valutazioni dell’accusa e quelle della difesa.
Claudio Tamburrino