Il professore di Harvard Benjamin Edelman ha pubblicato l’ accordo con cui Google concede ai produttori hardware l’utilizzo del suo sistema operativo mobile Android , il Mobile Application Distribution Agreement (MADA), nella versione firmata da Samsung nel 2011 e da HTC nel 2010 .
Secondo il professore di economia questi contratti dimostrano come per quanto teoricamente open ed open source, Android di fatto sia associato ad una serie di condizioni e restrizioni : in particolare Mountain View adotta una clausola “all in” che obbliga ad accettare il pacchetto completo di tutte le sue app , installandole tutte sui dispositivi venduti ed in alcuni casi associandole, come app di default, ad alcune funzioni.
A questo tipo di obblighi, va aggiunta la licenza d’uso del marchio “Android” per poter pubblicizzare la distribuzione di un dispositivo con il sistema operativo di Google e, per esempio, utilizzare il robottino verde che lo contraddistingue agli occhi degli utenti: le licenze open source riguardano la proprietà intellettuale legata ai software o ai brevetti, ma non arriva ad interessarsi dei marchi.
Questo sistema di legami tra diversi prodotti, naturalmente, come nel caso che ha visto Microsoft condannata in Europa per l’associazione di Internet Explorer con il suo sistema operativo Windows, potrebbe sollevare sospetti di abuso di posizione dominante: se – naturalmente – si rivelerà la posizione dominante di Android sul mercato dei dispositivi mobile.
Il tipo di utilizzo che può fare Google della diffusione del suo sistema operativo per far da traino a prodotti meno popolari è evidente con l’esempio di Google Plus: sia attraverso il sistema di commenti di YouTube che la messaggistica dei nuovi dispositivi Android la Grande G sta incrementando, più o meno artificiosamente, i numeri del suo social network.
D’altra parte la Commissione europea starebbe investigando sulla questione già da giugno, quando ha avviato un’ indagine preliminare sugli effetti delle strategie di Google sul mercato dei sistemi operativi mobile.
Nel frattempo, tra l’altro, Mountain View sta cercando di stringere le fila del suo ecosistema, il cui problema principale, al momento, è legata alla frammentazione: essendo l’aggiornamento di sistema subordinato all’adattamento dei singoli produttori hardware, nonché alle telco che distribuiscono device brandizzati, le nuove versioni subiscono diversi ritardi prima di arrivare sul mercato.
Così, anche se uscito a fine giugno 2012, Android Jelly Bean 4.1 è ancora la più diffusa versione con il 35,5 per cento degli utenti raggiunti, mentre la 4.2 e la 4.3 sono ancora rispettivamente al 16,3 e all’8,9 per cento di diffusione, e Android 4.4 ancora solo all’1,8 (è arrivato per il momento solo sui Google Nexus, Motorola Moto X e Moto G e HTC One). Ancora una grande presenza hanno poi Gingerbread (20 per cento) e Ice Cream Sandwich (16,1).
Per risolvere questo spezzettamento, dunque, Google sembra ora voler obbligare i produttore – sempre tramite licenza – ad adottare una versione del suo sistema operativo più recente possibile, anche se non è detto che questa debba essere proprio l’ultima.
Claudio Tamburrino