“Tutti quei siti che hanno deciso di piegarsi alle pressioni di governo sono di fatto diventati degli obiettivi. La nostra organizzazione ha sempre combattuto la censura in favore della libera espressione su Internet, muovendosi contro chiunque cerchi di distruggere con ogni mezzo questo principio. Crediamo che il caso esploso con Wikileaks rappresenti qualcosa in più della semplice pubblicazione di documenti riservati. È diventato un campo di guerra: la gente contro il governo”.
Così ha parlato Coldblood , programmatore londinese di 22 anni nonché portavoce dell’ormai noto gruppo di attivisti digitali Anonymous . Operation Payback è così tornata a colpire, questa volta contro alcune delle società statunitensi che pochi giorni fa avevano tagliato i ponti con il chiacchieratissimo sito delle soffiate Wikileaks. I circuiti di pagamento online di Visa, Mastercard e PayPal sono stati dunque attaccati, messi fuori uso per aver abbandonato il sito di Julian Assange.
Una doccia fredda per le più importanti società legate al trasferimento di denaro, soprattutto perché giunta all’improvviso in un periodo caldo come quello delle festività natalizie. Centinaia di migliaia di consumatori non sono così riusciti per ore a completare il proprio percorso di pagamento online , in particolare al momento del passaggio verso i server che gestiscono – come ad esempio nel caso di Mastercard e Visa – le pratiche di sicurezza relative all’acquisto.
I disservizi sono stati subito rivendicati dalla comunità di hacker (o cracker, dipende dai punti di vista) nata nell’universo di 4chan , già scagliatasi con Operation Payback contro siti istituzionali legati al copyright. Gli attacchi di tipo DDoS hanno così risposto alla precedente decisione da parte di Visa, Mastercard e PayPal di bloccare il trasferimento di denaro verso Wikileaks , in attesa di ulteriori sviluppi giudiziari dopo l’arresto del founder .
Stando alle informazioni fornite dallo stesso gruppo di attivisti, l’imponente bombardamento avrebbe coinvolto migliaia di singoli netizen, pronti a far fuoco allo scoccare dell’ora X. Tra gli altri obiettivi, il sito ufficiale di SwissBank, che aveva congelato un conto aperto dallo stesso Assange a causa di informazioni anagrafiche errate. Un cinguettio su Twitter ha poi sottolineato come alcuni profili a supporto di Operation Payback fossero stati rimossi dalla piattaforma di microblogging.
Profili aperti in gran numero, sul social network cinguettante come su quello in blu, Facebook. Pare che su alcuni fossero stati pubblicati link utili per partecipare all’attacco contro i servizi online di Visa e Mastercard. Alcuni numeri di carte di credito sarebbero poi apparsi sulle due piattaforme, probabilmente il motivo alla base della chiusura degli account da parte dei responsabili.
La risposta di PayPal
Intervenuto nel corso di una recente conferenza parigina, il vicepresidente di PayPal Osama Bedier ha cercato di far luce sui motivi alla base del congelamento degli account per il trasferimento online di denaro verso Wikileaks. Gli alti vertici della piattaforma specializzata in pagamenti avrebbero semplicemente soddisfatto una richiesta da parte del Dipartimento di Stato statunitense, che aveva bollato il sito come illegale .
Un coro di disapprovazione si è così scatenato in sala. Bedier ha solo successivamente fornito un dettaglio ulteriore : la richiesta governativa sarebbe stata spedita all’attenzione di Wikileaks e non di PayPal . L’azienda statunitense avrebbe semplicemente deciso di tutelare i propri clienti, soprattutto alla luce degli attacchi di Anonymous che – sempre secondo Bedier – avrebbero dimostrato il successo conquistato da PayPal.
USA, tentativi di dialogo politico
A prendere la parola è stato PJ Crowley, portavoce ufficiale del Dipartimento di Stato statunitense. Julian Assange dovrebbe restituire alle autorità federali tutti i documenti trafugati alle ambasciate a stelle e strisce, essendo stato compiuto un vero e proprio furto di proprietà .
Nel frattempo, il senatore Joe Lieberman ha puntato il dito contro il quotidiano statunitense The New York Times , tra i primi ad aver diffuso pubblicamente i documenti riservati pubblicati da Wikileaks. Un “brutto gesto” quello del NYT, i cui vertici editoriali potrebbero ora rischiare un’inchiesta per aver violato il già invocato Espionage Act .
Wikileaks, la proliferazione degli specchi
È ora giunto a quota 1334 il totale dei mirror site del sito delle soffiate, apparsi come funghi tra i vasti meandri della Rete. Un incremento più che consistente, che ha portato lo stesso Wikileaks a pubblicare una nutrita lista di copie speculari apparse online in caso di ulteriori “attacchi” verso il sito madre. Nella scorsa settimana il numero totale raggiungeva appena la cinquantina di domini.
Mauro Vecchio