C’era una volta l’operazione OccupyWallStreet . E c’era una volta Anonymous . Dal loro incontro nasce questa strana e confusa storia. “Occupy Wall Street” è nata come operazione di protesta che da qualche mese si cercava di organizzare in Rete ed è diventato, per estensione, il gruppo di contestatori americani che si è creato intorno al nucleo dei manifestanti accampatisi davanti a Wall Street lo scorso 17 settembre. Parlare di Anonymous è, invece, più complicato, perché, tenendo fede al suo nome, è un collettivo che non ha rappresentanti, né una “voce ufficiale”: tutti possono farne parte ma può succedere che non tutti siano d’accordo con le azioni (a volte piuttosto estreme) intraprese dal gruppo. Ma procediamo con ordine.
Anche se il coinvolgimento di Anonymous risale in realtà ai primi momenti della nascita della protesta in Rete, il vero, esplicito e plateale atto di adesione è avvenuto a causa dell’ episodio che ha avuto come malcapitata protagonista una pacifica manifestante, aggredita in maniera gratuita da un poliziotto con uno spray urticante. Il gruppo ha reagito immediatamente con un comunicato su Pastebin dove svelava identità e recapiti dell’agente , commentando: “Prima di commettere atrocità contro persone innocenti, pensateci due volte. Noi vi controlliamo”.
A questo punto la storia si aggroviglia: il 2 ottobre sul canale YouTube “TheAnonMessage” viene pubblicato un video che dà il via all’operazione “Invade Wall Street” .
Un’operazione che deve fare un passo in più rispetto alla precedente, comprendendo anche un attacco hacker al più importante cuore pulsante dell’economia mondiale : il New York Stock Exchange . “Non possiamo rimanere in silenzio – recita la voce metallica nel video – mentre la popolazione viene sfruttata e costretta a compiere sacrifici nel nome del profitto. Mostreremo al mondo che siamo fedeli alla parola data. Il 10 ottobre il NYSE sarà cancellato da Internet. Preparatevi ad un giorno che non dimenticherete”. Il video ha subito avuto l’appoggio di AnonCentral, uno degli account Twitter gestiti da netizen che dicono di fare capo all’organizzazione.
“Uno degli account” è la frase chiave: in un altro account Twitter, AnonOps, solitamente utilizzato dai membri del collettivo, si sono, invece, prese le distanze dall’iniziativa, invitando a non cadere nel tranello di chi “vuole vedere fallire l’operazione Occupy Wall Street”. Dando, quindi, ad intendere che ci sia stata una sorta di “spionaggio” da parte delle istituzioni per cercare di arrestare gli Anonymous coinvolti nelle proteste newyorkesi.
In realtà più che di contro-contro(-contro?)spionaggio sembrerebbe trattarsi di una vera e propria differenza di vedute all’interno dello stesso gruppo, dato che Anon_Central ha poi risposto : “Quindi protestare contro Mastercard, Visa, PayPal non è un atto terroristico ma protestare contro la NYSE sì?”. AnonOps non risponde ma appare un altro comunicato su Pastebin dove si dichiara che l’operazione “Invade Wall Street” è un “fake, ad opera delle forze dell’ordine e delle agenzie informatiche contro il crimine per cercare di sabotare il movimento Occupy Wall Street”.
L’ultima puntata è stato il tweet con cui si chiedeva di abbandonare l’operazione “Invade Wall Street” a causa dell’infiltrazione di tale agente Hypotenuse nella chat IRC di AnonOps. A seguire, la pubblicazione canonica su Pastebin: “Congratulazioni, Hypotenuse”.
Al di là di cosa sia veramente accaduto, se sabotaggio o semplice divergenza d’opinioni interna, il nodo centrale della questione rimane: la perdita di affidabilità nella concezione che il pubblico ha del proprio referente può diventare un problema, e arrivare a compromettere la riuscita di operazioni che richiedano un’adesione molto diffusa. Come far convivere la necessità dell’anonimato in Rete con quella del mantenimento della credibilità? Sempre che, ovviamente, a qualcuno quest’ultima interessi.
Elsa Pili