Non si è trattato di uno spot a favore delle politiche dell’attuale governo il convegno “Liquidi, veloci, mobili: contenuti digitali e risorse per la conoscenza” organizzato dalla Fondazione Luca Barbareschi con la collaborazione di Key4Biz , svoltosi a Roma.
Tra gli speaker c’erano rappresentanti delle istituzioni (il ministro Bondi), delle organizzazioni di settore, del mondo delle TLC, dei produttori dei contenuti sia di musica, cinema che televisione. Quasi tutti i rappresentanti della filiera si sono ritrovati per riuscire a fornire, nelle parole più volte usate da Luca Barbareschi, “delle nuove proposte, non solo parole ma idee e discussioni”. Purtroppo l’unica cosa che è davvero emersa, al di là delle consuete rivendicazioni di categoria, è una certa perplessità nei confronti dell’operato dell’attuale esecutivo.
E proprio Barbareschi, vicepresidente della Commissione trasporti e telecomunicazioni, ha cominciato ad attaccare affermando che “il governo sta tenendo un atteggiamento troppo ambiguo e la mia commissione non fa niente! Stiamo perdendo tempo e mi prendo la responsabilità di quello che dico perché ritengo questo sia l’ultimo treno. Avere un Presidente del Consiglio che è anche un importante editore crea imbarazzo ma bisogna rendersi conto che una gestione dei contenuti digitali della Rai come quella attuale è un danno per il paese ed è un rischio anche per Mediaset”. Questo dopo che il ministro Bondi aveva espresso i suoi ringraziamenti per la lotta da lui condotta ai fini del reintegro del FUS.
Nel corso del convegno altre voci si sono unite a quella di Barbareschi, come quella dell’amareggiato Paolo Ferrari, presidente dell’ANICA, il quale ha dovuto prendere atto di come “la commissione antipirateria in un anno di lavoro non ha raggiunto nessun risultato”: un’affermazione che, data la fonte e a fronte dei tanti proclami, rischia di pesare come un macigno.
Si esce con il morale affossato dall’incontro, perché l’auspicio di concretezza e proposte non viene ascoltato e, come fa notare nel suo intervento Marco Pierani di Altroconsumo, si parla sempre di pirateria quando il problema è l’alternativa: si parla di mettere nuovi paletti quando quelli vecchi non sortiscono effetto e si continuano a far notare i problemi di categoria individuali invece che le nuove prospettive. È così per il cinema, così per la musica (rappresentata da Caterina Caselli) e così per il comparto mobile (rappresentato da Vincenzo Novari di 3), chi non punta il dito contro la pirateria lo fa contro la mania “del tutto gratis su internet” senza avere alternative plausibili: i più accorti affermano che l’errore fu sottovalutare il problema anni fa.
Mediaset, rappresentata da Gina Nieri, con il suo pensiero ben incarna lo spirito dei produttori di contenuti: “Se guariamo l’apporto di Internet alla produzione di contenuti audiovisivi vediamo che è quasi zero e i suoi modelli d’offerta continuano a perdere come ad esempio Hulu”. Mediaset è ancora in causa con YouTube per violazione del diritto d’autore e, nonostante il presidente della FIMI Enzo Mazza ricordi come molte etichette musicali distribuiscano con successo i loro video (e quindi la loro musica) sul portale di Google, lo stesso l’azienda del Presidente del Consiglio tende ad individuare in quest’atteggiamento un problema e non un’opportunità: “Da Google rifiutano in tutto la qualifica di editori, ma la verità è che in quel mondo che Google porta nelle case una grande parte la fanno i contenuti video piratati che loro ridistribuiscono lucrandoci”.
Dunque, nonostante ad inizio convegno proprio Barbareschi avesse auspicato la creazione di un aggregatore di contenuti italiano, un’impresa in grado di catalizzare e ridistribuire ciò che viene prodotto al pari di come fa Google, lo stesso il disfattismo e i pareri contrari al lavoro di YouTube e alle sue opportunità hanno dominato. Davide Rossi di Univideo ad esempio ha sostenuto che “quando c’è un’azienda che con 10 dipendenti fa 20 milioni di euro di fatturato c’è qualcosa che non va bene. Quando Google fa quei numeri con così poca gente assunta e quando YouTube fa soldi con i contenuti degli altri c’è qualcosa che non regge. È come prendere dei locali sfitti chiedere alla gente di portare gli ingredienti e poi magari tra gli avventori qualcuno la pizza la sa fare e si lucra sui parcheggi”.
Grande disappunto per l’assenza della RAI, la strategia mediatica della più grande industria culturale italiana ha mostrato aperture lungimiranti negli ultimi anni e forse avrebbe potuto offrire qualche spiraglio.
Gabriele Niola