Facebook e Twitter sono ormai parte integrante delle esistenze online. Ma cosa succede quando si è giornalista nella vita in carne ed ossa?
Stando ad Associated Press bisogna ben considerare il proprio ruolo all’interno della redazione, senza soffermarsi troppo sulla privacy al tempo dei social network. Proprio su questo dal quartier generale di New York si è riflettuto, arrivando a conclusioni che hanno suscitato non poche critiche.
Un pugno di linee guida che regolino il comportamento social dei circa 4000 dipendenti della nota agenzia di stampa. Come evitare di dichiarare la propria posizione politica o comunque esprimere opinioni che evidenzino una posizione netta, magari su questioni controverse. “Abbiamo tutti un interesse nel mantenere la reputazione d’imparzialità di AP – ha comunicato il vicepresidente Kristin Gazlay – che è uno dei nostri punti di forza da più di 160 anni”. Una reputazione che va mantenuta anche nei comportamenti singoli online perché “niente è veramente privato nel web”.
Aggiornare una pagina Facebook, quindi, può diventare qualcosa di pericoloso per l’equità di una grande agenzia di stampa. E non solo di questa. Lo scorso marzo anche il Los Angeles Times aveva diramato una lunga lista di regole auree per l’uso dei social media, seguito dal Wall Street Journal che aveva proibito ai suoi redattori di offrire amicizia alle fonti riservate.
Una linea guida di AP, tuttavia, ha destato più di una perplessità. Alla domanda “E relativamente a Facebook?”, l’agenzia statunitense risponde : “È una buona idea monitorare la propria pagina personale per assicurarsi che contenuti pubblicati da altri non violino gli standard di AP. Contenuti del genere dovrebbero essere cancellati”. In altre parole, controllare i contenuti degli amici sarebbe cosa buona.
La News Media Guild, associazione che rappresenta circa 1000 giornalisti di AP, ha fatto sapere di non aver mai visto nulla di così restrittivo nella sua storia. E pare esserci anche un insolito paradosso. “Alcune delle regole comunicate – spiega il presidente Tony Winton – sembrano spazzare via il diritto d’espressione garantito dal Primo Emendamento. Da parte di un’agenzia che è coinvolta proprio in questo”. Giornalisti, occhio alla bacheca. (M.V.)