Twitter ha una relazione complicata con il giornalismo. Quando nasce un nuovo strumento l’integrazione con il macrocosmo preesistente non è mai facile e il mondo del giornalismo non fa eccezione. Ne è ultima (in ordine di tempo) dimostrazione quanto accaduto dentro Associated Press negli scorsi giorni, quando una ramanzina piccata dai vertici dell’agenzia di stampa statunitense è giunta ai propri dipendenti, ricordando loro il rispetto delle linee guida per l’utilizzo dei social media.
A scatenare la reazione dei “capi” (documentata anche da nymag.com ) è stata una “fuga di notizie” via Twitter avvenuta in occasione dell’arresto di due reporter di AP durante la protesta di Occupy Wall Street a Zuccotti Park. Questa notizia è stata twittata prima che l’agenzia stessa la pubblicasse. Lou Ferrara, managing editor di AP, ha inviato una email a tutti i dipendenti – trapelata poi alla stampa – con la quale inibiva l’utilizzo di Twitter da parte dei singoli giornalisti: “In relazione alla storia dello staff di AP arrestato durante la protesta di Occupy Wall Street, abbiamo avuto un discostamento dalla policy sui social media e tutti quanti dovrete parlare coi vostri colleghi per dire loro di smetterla”. Il regolamento citato, in effetti, specifica che “se si è in possesso di informazioni, di foto o di video molto rilevanti, esclusive e/o urgenti sufficientemente da essere considerate breaking news, dovete caricarle sulle agenzie prima di comunicarle attraverso social media”.
Non è granché rilevante, dunque, il comunicato stampa rilasciato da Kathleen Carroll, executive editor , che cerca di far passare in secondo piano la questione della priorità dell’informazione per porre l’accento sulla necessità di garantire la massima sicurezza ai reporter arrestati, che poteva essere compromessa dalla pubblicizzazione della notizia.
Il vero punto centrale della questione è il posizionamento di Twitter all’interno della circolazione delle informazioni. Twitter presenta un problema imprescindibile, quello della verifica delle fonti, a cui fa fronte un vantaggio che non ha rivali, la rapidità con cui permette il diffondersi delle informazioni. Twitter non può, dunque, essere considerato alla stregua di una testata giornalistica ma non è neanche giusto (né saggio) “demonizzarlo” e cercare di “confinarlo”, come da tempo sta cercando di fare AP proibendo ai propri giornalisti l’espressione di opinioni personali attraverso i cinguettii.
“Non trasmettete news che noi non abbiamo ancora pubblicato, in qualunque formato”, recitano le linee guida di AP, e sebbene anche Reuters abbia nel proprio handbook un principio simile (“Don’t scoop the wire”), un suo giornalista, Anthony De Rosa, tenta la riflessione sull’argomento, suggerendo che “se Twitter batte l’agenzia, l’agenzia non sta facendo il suo lavoro, assumendo che l’informazione trasmessa su Twitter sia accurata”. Dello stesso parere un giornalista del New York Times , Brian Stelter , che dando notizia del rimprovero di AP ai suoi dipendenti per aver comunicato la notizia su Twitter prima che sull’agenzia, chiede: “l’agenzia non dovrebbe darsi una mossa?!”.
C’è, probabilmente, bisogno di una riflessione generale sull’inclusione dei social media nei meccanismi tradizionali di produzione delle news, magari partendo proprio dagli spunti di Anthony De Rosa, pensando a Twitter come un elemento chiave del proprio business e non come competitor: “Possiamo farlo solo se non rimaniamo attaccati a delle regole che ignorano la realtà del presente e del futuro dei media”.
Elsa Pili