Che rapporto c’è tra gli utenti ed i produttori di applicazioni? In che modo e in che misura i dati fanno parte dello scambio commerciale tra le parti e, quindi, in che misura i dati personali sono da considerarsi come la nuova moneta di pagamento? “A poco più di un anno dall’avvio dell’ indagine conoscitiva sui Big Data , l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e il Garante per la Protezione dei Dati Personali intendono fornire un’informativa preliminare sulle attività di approfondimento condotte e sulle evidenze emerse”.Una premessa doverosa: i dati utilizzati dall’AGCM per le proprie conclusioni sono la sintesi di un’indagine svolta alla fine del mese di febbraio “attraverso un questionario online rivolto a soggetti dai 16 anni in su che navigano in internet e accedono a piattaforme, applicazioni e servizi online”. I dati sono stati raccolti su un campione di 2269 persone (52,7% donne, 47,3% uomini) con differente rappresentanza per le varie fasce d’età e le varie provenienze geografiche. Un campione eterogeneo, insomma, ma la cui composizione e la cui ampiezza lasciano supporre come non ci sia una rappresentatività troppo fedele del quadro effettivo della situazione italiana. Quel che ne esce è una fotografia del paese per molti versi ottimistica, la cui cifra in termini di consapevolezza appare ben più ampia di quanto non lo sia in realtà.Occorre tuttavia partire da questi numeri perché questi sono quelli adottati dalle Authority: l’importante è confrontarvisi con senso critico, immaginando però una situazione che potrebbe essere ben peggiore rispetto a quanto emerso dall’indagine conoscitiva.
L’Italia delle app e della privacy
“In estrema sintesi – per quanto riguarda il profilo della consapevolezza – i risultatidell’indagine mostrano che circa 6 utenti su 10 sono consapevoli del fatto che le loro azioni online generano dati che possono essere utilizzati per analizzare e prevedere i lorocomportamenti e appaiono altresì informati dell’elevato grado di pervasività che il meccanismo di raccolta dei dati può raggiungere (ad esempio, sulla geo-localizzazione e sull’accesso di diverse app a funzionalità come la rubrica, il microfono e la videocamera) nonché delle possibilità di sfruttamento dei dati da parte delle imprese che li raccolgono”.In particolare da quanto ricavato il 33% degli utenti dichiara di non leggere le informative relative all’installazione di un’app, mentre il 54% dichiara di leggerle solo in parte (ma tutti in generale ritengono siano sempre e comunque troppo poco chiare). I dubbi sulla bontà di quest’ultimo dato aumentano nell’analisi del dettaglio , secondo cui il 28% di quanti dichiarano di leggere l’informativa ammettono di farlo per meno di 1 minuto, il 60% per un tempo tra 1 e 10 minuti, il 9% per un tempo tra 10 e 30 minuti ed il 2,5% per più di mezzora. Dati di questa caratura, se reali, potrebbero probabilmente bastare ad avere un alone informativo sufficiente per poter considerare sufficiente la consapevolezza sullo sfruttamento dei dati. Cosa che invece con ogni evidenza non si concretizza nella realtà.
Anche utenti che non sono del tutto consapevoli della stretta relazione esistente tra cessione dei dati e gratuità del servizio, non di rado acconsentono all’acquisizione, utilizzazione e cessione dei propri dati personali. Gli utenti che invece negano il consenso lo fanno soprattutto in ragione dei timori di un improprio utilizzo dei propri dati: le preoccupazioni riguardano sia l’utilizzo a fini pubblicitari (46,7%) sia, ancor di più, l’utilizzo per altre finalità (50,2%).
Quattro utenti su dieci hanno dichiarato la piena consapevolezza circa la stretta relazione esistente tra la concessione del consenso allo sfruttamento dei dati e la gratuità del servizio ricevuto; inoltre gran parte del campione si dichiara pronto a rinunciare all’uso delle app gratuite pur di evitare che i propri dati possano essere sfruttati, ma al tempo stesso sono pochi quelli che si dichiarano pronti a pagare pur di avere accesso alle app senza sfruttamento dei dati. Come a dire: piuttosto di sapere sfruttati i dati, molti sarebbero disposto a rinunciare alle app eccessivamente invasive, ma al contempo non sarebbero pronti a pagare anche solo pochi euro pur di avere gli stessi servizi senza sfruttamento di dati. In ballo sembra esserci quindi più il valore del servizio, che non il valore della privacy (sempre e comunque sottovalutato).Di tale meccanismo sono ben consci i produttori di app, i quali debbono barcamenarsi nel difficile tentativo di raggiungere un alto numero di utenti per poter monetizzare le proprie idee. Secondo le indagini AGCOM su un campione di 1 milione di app (80% delle applicazioni disponibili su Play Store, “Agcom ha misurato una relazione inversa tra gratuità delle app e numero di informazioni sensibili cedute da parte degli utenti”. Secondo Antonio Nicita, Commissario dell’Autorità per la Garanzie nelle Comunicazioni, gli sviluppatori scelgono esplicitamente il proprio modello di business sulla base di questo compromesso tra numero di dati raccolti e numero di sottoscrizioni, il che equipara di fatto i dati al denaro in virtù del loro ruolo intermedio nel percorso di monetizzazione. Il problema non è però tanto in questo aspetto, quanto nel fatto che la cosa sia implicita (e non esplicitata) negli accordi tra le parti. Ciò, spiega AGCOM, “pone chiaramente rilevanti problemi circa l’efficienza del funzionamento dei mercati e di regolazione degli stessi”.L’utilizzo dei dati potrebbe tuttavia aprire anche ad importanti benefici tanto per le aziende quanto per gli utenti. L’AGCM, in particolare, pensa agli ambiti finanziario e assicurativo, ove il gran numero di dati disponibili potrebbe aprire ad una analisi dei Big Data in grado di restituire importanti vantaggi:
I Big Data rappresentano per le imprese bancarie e assicurative un’importante opportunità per accrescere la conoscenza della clientela, arricchendo la comprensione delle preferenze e delle abitudini dei consumatori, in particolare con una più efficace individuazione del profilo di rischio del singolo cliente, al fine di sviluppare prodotti e servizi personalizzati, favorendo al contempo l’innovazione, l’inclusione finanziaria e una maggiore concorrenza. Inoltre, ulteriori benefici possono scaturire dall’ottimizzazione dei processi interni, con ricadute positive in termini di efficienza e riduzione dei costi, e nella lotta alle frodi.
Quest’ultima considerazione esplicità l’approccio equilibrato delle autority nei confronti dei Big Data: non un anatema lanciato contro le multinazionali, ma un tentativo di approfondimento per capire come espletare le opportunità esistenti senza dover ricorrere ad una diminutio dei diritti per i cittadini/utenti.