App freemium, indaga l'antitrust

App freemium, indaga l'antitrust

Le autorità italiane hanno avviato un'istruttoria nei confronti di Google, Apple, Amazon e Gameloft: le app di intrattenimento offerte gratuitamente potrebbero nascondere irresistibili inviti all'acquisto
Le autorità italiane hanno avviato un'istruttoria nei confronti di Google, Apple, Amazon e Gameloft: le app di intrattenimento offerte gratuitamente potrebbero nascondere irresistibili inviti all'acquisto

Promettono intrattenimento gratuito, per poi proporre a pagamento agli utenti tasselli indispensabili per rendere l’attività videoludica davvero divertente: le app freemium sono ora nel mirino anche dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana, che sospetta reggano il proprio business su attività commerciali scorrette.

L’istruttoria è stata avviata nei confronti dei gestori degli store delle applicazioni e nei confronti di sviluppatori di app videoludiche: la nota dell’AGCM chiama in causa due società del gruppo Google, Apple, Amazon e Gameloft. Con il procedimento, si verificherà se le pratiche adottate da questi operatori risultano scorrette nei confronti degli utenti: l’AGCM spiega che “i consumatori potrebbero essere indotti a ritenere, contrariamente al vero, che il gioco sia del tutto gratuito e, comunque, non sarebbero messi in grado di conoscere preventivamente gli effettivi costi dello stesso”.

Gli stessi sospetti sono emersi anche nel contesto europeo, sollecitati dalle segnalazioni di numerose associazioni di consumatori: per questo motivo nel mese di febbraio la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta volta ad analizzare quanto il meccanismo delle proposte freemium risulti pericoloso per i consumatori più incauti che si confrontano con un mercato giovane e in promettente crescita .

I dubbi della autorità, antitrust italiano compreso, non si addensano solo sul contesto dell’app scaricata: sotto osservazione sono anche le dinamiche di acquisto agevolate dai marketplace, i cui operatori naturalmente lucrano sugli acquisti trattenendo la loro percentuale. Se Apple, costretta dalla FTC statunitense a rimborsare gli utenti vittime di acquisti accidentali e a rendere più trasparenti le proprie policy di acquisto, ha imposto agli utenti l’inserimento della propria password per ogni spesa in-app, Google non ha adottato una policy univoca e concede agli utenti la libertà di scelta. Se è previsto che su alcuni dispositivi l’inserimento della password sia indispensabile di default per ogni transazione in-app, è altresì possibile che altri dispositivi siano impostati per l’acquisto libero, o prevedano una finestra temporale di 30 minuti entro cui è possibile scialacquare senza dover reinserire la password: sta all’utente informarsi e modificare le impostazioni a seconda delle proprie preferenze. Questa dinamica, che ha tradito famiglie di infanti incapaci di resistere alle lusinghe dei contenuti aggiuntivi per l’intrattenimento mobile, è al centro di un tentativo di class action negli Stati Uniti.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
16 mag 2014
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