Apple detiene il pieno controllo sul proprio ecosistema e sul proprio App Store e non consente agli utenti dei dispositivi iOS di installare applicazioni prelevate da store di terze parti: la chiusura che Cupertino ha sempre giustificato con la garanzia di una maggiore sicurezza e qualità per gli utenti, potrebbe ora trasformarsi in un problema di natura antitrust.
La giustizia statunitense ha decretato la possibilità di riaprire un caso avviato alla fine del 2011 e chiuso in primo grado di giudizio nel 2013: un manipolo di consumatori lamentava il fatto che Apple, imponendo ai consumatori di attingere al solo App Store per procurarsi le applicazioni per iOS , esercitasse su questo mercato un controllo non accettabile ai sensi della legge. Non si trattava di una denuncia che investiva la libertà degli sviluppatori e la possibilità per gli utenti di installare applicazioni che Apple non avrebbe ammesso sul proprio store ufficiale, ma una rimostranza relativa ai prezzi: Cupertino si attribuisce il controllo sull’unico canale di distribuzione delle applicazioni, anche attraverso i sigilli sull’hardware e la mancata garanzia per i terminali oggetto di jailbreak, e preleva dagli sviluppatori il 30 per cento di quanto pagato dai consumatori, garantendosi così il controllo sui prezzi e la possibilità di distorcerli, ai danni degli utenti.
Apple, nel 2013, era riuscita a convincere la giustizia statunitense, sostenendo che il proprio business è quello di vendere servizi di distribuzione agli sviluppatori : sono gli sviluppatori che fissano i prezzi per le proprie app, aveva sostenuto Cupertino, e Apple Store è semplicemente una piattaforma che mette in contatto gli sviluppatori con i consumatori. La decisione a favore di Apple era dovuta anche al fatto che l’accusa non era stata in grado di dimostrare di aver sofferto di un danno economico derivato dal denunciato monopolio della Mela sul mercato delle app.
Il caso, però, potrà essere ora riaperto: la corte d’appello riferisce di trovare poco convincente l’analogia di Apple, che si proponeva come il proprietario di un centro commerciale, App Store, che affitta agli sviluppatori gli spazi per vendere le proprie app. Questa analogia non prende in considerazione l’ esclusiva di fatto che Apple si attribuisce , in qualità di canale di vendita, sulle app per iOS, né le stringenti regolamentazioni che Cupertino impone agli sviluppatori: Spotify, ad esempio, nel recente passato si è scontrata con la Mela a questo proposito, impossibilitata dalle regole dell’ecosistema di Cupertino a pubblicizzare la presenza su altri canali del proprio servizio. La giustizia statunitense ritiene che il caso possa essere riaperto: gli acquirenti di app sono a tutti gli effetti utenti di Apple e hanno diritto di esprimere rimostranze sull’ecosistema chiuso della Mela.
Nel prossimo futuro avranno la possibilità di confrontarsi in tribunale con la difesa di Apple e dimostrare che Cupertino abbia costituito un monopolio sul mercato delle app per iOS: per il momento auspicano di ottenere risarcimenti, di costituire una class action, e di obbligare Apple ad abbattere gli steccati eretti a circoscrivere e controllare l’ecosistema dei suoi dispositivi mobile.
Gaia Bottà