Apple ha fatto causa ad Amazon per violazione di marchio e competizione sleale : a non piacere a Cupertino è il nome scelto dal rivenditore online per il suo negozio di app , Amazon Appstore .
Mentre continua la sfida di Microsoft contro la registrazione da parte di Apple del marchio App Store, Cupertino si muove dunque per rivendicarne l’appartenenza di fatto e combatterne la volgarizzazione nell’utilizzo comune .
Il fatto che Amazon abbia utilizzato i termini contesi in una versione tutta attaccata non è sembrato affatto sufficiente ad Apple per scongiurare la confusione tra il suo store di applicazioni e quello del concorrente.
Nel caso che la vede contrapposta a Microsoft, d’altronde, Apple ha spinto sul tasto della “rilevanza nella percezione pubblica” delle due parole che altrimenti risiederebbero nella sfera dei termini generici.
Amazon Appstore ha già fatto il suo esordio in giornata, anche se dopo poco è tornato offline, probabilmente per problemi tecnici che non hanno ostacolato il funzionamento delle app nel frattempo scaricate: servirà come mercato per le app del rivenditore online destinate ai dispositivi Android e per il momento è disponibile solo negli Stati Uniti.
I primi utenti sono stati premiati con il nuovo capitolo della popolare serie Angry Birds, che Amazon ha ottenuto in esclusiva .
Amazon conta di essere un competitivo nuovo soggetto nel settore dei negozi di applicazioni e ha, d’altronde, alcuni punti a suo favore: innanzitutto gli utenti sono abituati a comprare con Amazon, tanto che ha sviluppato numerose tecnologie nel settore in particolare per consigliare acquisti affini. Non partendo come app nativa per dispositivi Android, poi, si è premurata con la possibilità di far funzionare il suo appstore anche via browser e ha sviluppato un sistema che permette agli utenti di testare le app direttamente dalla pagina Web attraverso un emulatore Android (in flash) avviato sulla sua cloud EC2.
Inoltre, giornalmente rilascerà un’app gratuitamente, offerta permessa dal fatto che sarà Amazon stessa e non gli sviluppatori a stabilire i prezzi. Infine, a differenza di Google, provvederà ad esaminare il software che offre in vendita, anche se lo toglierà dai suoi scaffali solo se non funzionante o se considerato un rischio per i dati degli utenti: si mette, insomma, in una posizione di controllo intermedia tra Apple e Google.
Tra il dire e il fare, tuttavia, stavolta c’è Apple e la sua causa: ha chiesto al giudice anche un’ingiunzione che proibisca l’utilizzo delle parole contese e questo potrebbe ostacolare o interrompere l’esordio così come deciso da Amazon.
Claudio Tamburrino