Il New York Times torna a puntare nel suo mirino Cupertino: dopo aver stigmatizzato le condizioni di lavoro dei dipendenti delle fabbriche asiatiche che forniscono componenti per i prodotti con la Mela, ha ora affrontato la questione del lavoro nei punti vendita di Apple.
Il NYT ha fatto i conti in tasca ai commessi dei retail store ufficiali di Apple: la maggior parte dei dipendenti ( su un totale di 35.852 posti di lavoro creati in cinque anni) guadagna in media 25mila dollari l’anno , un salario molto superiore ai 7,25 dollari della paga oraria minima e corredato da una serie di agevolazioni come assicurazione sanitaria e versamento dei contributi, ma che non prevede commissioni sulle vendite come fanno invece altri rivenditori ICT come AT&T e Verizon.
Secondo i calcoli del giornale, d’altronde, tale salario rappresenterebbe pochi spiccioli rispetto ai calcolati 473mila dollari che ogni dipendente avrebbe contribuito a portare nelle casse di Apple .
La stessa Cupertino, d’altronde, sembra essersi accorta di qualche malumore e da qualche mese a questa parte avrebbe iniziato a parlare di possibili aumenti per i suoi dipendenti : i dettagli rimangono riservati, così come i metodi di distribuzione.
A questi dettagli finanziari si sommano commenti meno entusiastici del previsto rispetto all’ambiente di lavoro raccolti dal NYT: i dipendenti parlano di confusione e stress legati soprattutto al carico di lavoro conseguente al successo dei prodotti con la Mela, di una prospettiva media di impiego continuato presso Apple di appena due anni e mezzo, lamentano l’ assenza di un vero e proprio percorso di carriera e la politica in materia di giorni di assenza (la dirigenza tende ad ignorare il motivo di un’assenza, condannata a priori).
Tali commenti negativi, peraltro, sembrano aumentare quando sono intervistati i cosiddetti “Genius Apple”, gli addetti alla manutenzione dei prodotti: restano tuttavia in media per più tempo con Cupertino (quattro anni), soprattutto perché non riescono a trovare un altro lavoro all’altezza che – lamentele o meno – dia le stesse soddisfazioni garantendo 40mila dollari l’anno.
Un gruppo di ex-dipendenti di Cupertino, d’altronde, già nel 2010 aveva avviato una class action contro Apple per la mancata retribuzione delle pause (diritto riconosciuto in California ai lavoratori pagati ad ora). Per alcuni commenti critici pubblicati su Facebook, poi, un impiegato britannico si è visto messo alla porta da Apple dando vita ad un caso spinoso per Cupertino davanti al Tribunale del Lavoro britannico: motivo del licenziamento, la violazione dei termini di contratto che proibiscono ai dipendenti la pubblicazione social di sfoghi e opinioni ritenuti poco opportuni, così come dei dettagli sulle condizioni di lavoro o critiche diffamanti nei confronti del brand con la Mela. Diversi motivi di lamentale, poi, hanno portato anche i dipendenti italiani ad organizzare uno sciopero.
Nonostante questi episodi e l’ ironia con cui sono visti spesso i Genius , il lavoro presso gli Store ufficiali della Mela è rimasto ammantato di un’aura di sacralità che ha sempre attirato utenti affezionati a lavorare per Apple, contribuendo a formare un flusso continuo di commessi appassionati: la fedeltà dei suoi venditori (quasi evangelica) è d’altronde un’altra delle caratteristiche della carriera totalizzante all’interno di Apple, coltivata a partire dalla fase di reclutamento e di addestramento dei nuovi impiegati che sono portati a considerarsi parte di una grande missione e di una grande famiglia.
Claudio Tamburrino