Sembra quasi la trama di un film, con tanto di codazzo di giornalisti e spettatori increduli che guardano due pesi massimi dell’elettronica di consumo darsele di santa ragione davanti a un giudice e una giuria. Ci sono i colpi di scena , le manovre spregiudicate, i cronisti a caccia di scoop e un sacco di curiosi: Apple e Samsung sono arrivate alla conclusione del loro braccio di ferro, con un processo in terra californiana che farà epoca.
Non si tratta certo del primo procedimento che le vede contrapposte, eppure – complice la vicinanza ai principali strumenti di informazione del panorama ICT statunitense – pare che questo processo sia la madre di tutti i processi brevettuali fin qui tenutisi in tutto il mondo. Le due schiere di avvocati si sono disputate per giorni i componenti della giuria , e hanno discusso a lungo col giudice delle prove ammissibili al processo: col risultato di scontentare Samsung, che per tutta risposta ha pensato bene di passare alla stampa alcuni documenti esclusi dal procedimento . Il giudice non l’ha presa bene.
L’oggetto del contendere sembrerebbe essere il nerbo della strategia difensiva Samsung: non siamo noi ad aver copiato Apple, è Apple che ha copiato il lavoro altrui. O, meglio, tutti si “ispirano” al lavoro di tutti in questo settore. Nel caso specifico, tutto ruoterebbe attorno a un prototipo “stile Sony” realizzato da uno dei designer di Cupertino: secondo Samsung si tratterebbe della prova che iPhone sarebbe stato “ispirato” dai prodotti del colosso giapponese, secondo Apple si tratterebbe invece di un normale tentativo di confrontarsi con stili di design industriale altrui ma che non influenzerebbe lo stile di Cupertino. E, naturalmente, gli avvocati della Mela rispediscono al mittente ogni accusa: iPhone ha cambiato tutto , dicono, e poi Samsung l’ha copiato.
In ogni caso, il giudice Koh che sovrintende la causa aveva negato a Samsung di utilizzare le deposizioni e le immagini relative al prototipo “JONY” (il supposto prototipo in stile Sony) in aula: i legali della coreana non si sono fatti problemi, però, a girare tutto ai giornalisti, condendo le foto con alcuni commenti sulla necessità che certe informazioni arrivassero al pubblico. Koh è andato su tutte le furie , imbeccato da Apple, e la faccenda potrebbe anche avere degli strascichi più avanti nel processo. Di sicuro a Samsung è andata bene: fermo restando che ci potrebbero essere delle rappresaglie legali, è riuscita nell’intento di far conoscere quei design e quelle vicende al mondo intero.
Finita la diatriba procedurale, i primi testimoni chiamati a deporre sono stati due dipendenti Apple: il designer Chris Stringer e il vicepresidente addetto al marketing Phil Schiller . Il primo teste è stato proprio il designer: che ha raccontato qualcosa di più di come funzioni il reparto a cui fa capo in Apple, al cui vertice siede da anni Jony Ive, e che da sempre è ammantato da un alone di mistero. Eppure si è scoperto che gli osannati device della Mela nascono attorno a un tavolo da cucina a cui siedono i colleghi, scambiandosi idee e valutando i prototipi che hanno sviluppato. Anche 50 design diversi possono venire sviluppati per un singolo particolare come un pulsante, e spesso le idee non superano mai lo stadio di uno schizzo su un pezzo di carta: per sostenere queste parole, Stringer ha passato in rassegna decine di prototipi antecedenti il primo iPhone, molti dei quali nettamente diversi dal prodotto finito rilasciato nel 2007.
La testimonianza di Stringer in ogni caso ha tentato di dimostrare quanto segue: se è vero che gli smartphone esistevano prima di iPhone, e così i cellulari, iPhone ha cambiato il modo di intenderli. Nel design, negli elementi costruttivi, nelle interfacce, nell’estetica e anche nelle dimensioni. Samsung, e tutti gli altri produttori, avrebbero approfittato della “rivoluzione” di Cupertino: ovviamente una tesi da dimostrare, e che Apple spera gli frutti non meno di 2,5 miliardi di dollari di risarcimento.
Il secondo testimone che è salito sul banco è stato Phil Schiller: nei pochi minuti in cui ha parlato ha spiegato che Apple non adotta approcci analoghi a quelli di alcuni suoi concorrenti, che si affidano a focus group e richieste degli utenti per sviluppare i propri prodotti. “Non è compito dei consumatori sapere cosa vogliono” diceva un tempo Steve Jobs, e Schiller ha in pratica ribadito questo concetto con le proprie parole. La realtà è che Apple nella sua storia qualche indagine di mercato l’ha fatta (e Internet ha la memoria abbastanza lunga da ricordarselo), ma avvocati e Schiller stesso avranno tempo per chiarire la faccenda il prossimo venerdì, quando ci sarà la prossima udienza e il vicepresidente tornerà in aula.
Dopo di lui toccherà a un altro pezzo da novanta di Cupertino: niente di meno che Scott Forstall , plenipotenziario e padre putativo di iOS. Per le conclusioni occorrerà attendere diverse settimane, visto che la fase dibattimentale dovrebbe durare almeno 30 giorni: fino ad allora si continuerà a discutere di rettangoli e design , con fior di avvocati impegnati a spaccare il capello in quattro per meritarsi le proprie parcelle da capogiro .
Luca Annunziata