L’FBI ed il Dipartimento di Giustizia ( Department of Justice , DoJ) avevano chiesto ad Apple di accedere a dispositivi protetti da crittografia anche prima dell’ ingiunzione con cui le hanno ordinato di creare un software ad hoc per accedere ai dati ospitati sull’iPhone 5C del cecchino di San Bernardino, l’uomo che lo scorso dicembre ha sparato sulla folla uccidendo 14 persone.
Apple, che è ricorsa in appello contro tale ingiunzione, ha pubblicamente affermato che tale richiesta costituirebbe un pericoloso precedente in quanto la obbligherebbe ad aggirare misure predisposte a sicurezza dei dispositivi e della privacy dei propri utenti. E le sue ragioni hanno finito per essere supportate anche da diversi osservatori e altre aziende ICT facendo aprire negli Stati Uniti un vero e proprio dibattito sulla questione che ha portato per esempio ora Cupertino ad appellarsi alla protezione del Primo Emendamento per non rilasciare il codice necessario a decriptare il dispositivo.
In tutto ciò il Bureau ha continuato a giustificarsi, negando fermamente la volontà di generalizzare la richiesta di socchiudere una backdoor nei dispositivi di sospettati e ribadendo che si tratta di una richiesta una tantum per un solo dispositivo: tuttavia, secondo quanto si legge ora in un documento di Apple reso pubblico su ordine di un giudice federale di New York, sono già 12 i casi nei quali iPhone o iPad protetti da password sono stati oggetto di simili richieste da parte delle autorità.
Anche in questi casi Cupertino ha sempre sollevato obiezioni e l’unica cosa che distingue queste richieste da quella relativa al caso di San Bernardino è il fatto che sono state depositate privatamente: anche per quest’ultimo caso la stessa Apple aveva chiesto un procedimento privato, richiesta respinta dall’FBI che dunque presumibilmente ha voluto aprire il dibattito pubblico sulla questione approfittando dei tragici fatti di San Bernardino per cercare di forzare la mano all’azienda ICT.
La ferma resistenza di Cupertino e l’appoggio che ha trovato in diversi osservatori ed altre aziende ICT, tuttavia, ha di fatto intralciato il piano dell’FBI ed il caso potrebbe finire ora per essere deciso dal Congresso, il cui intervento è stato invocato da Apple, che conta sull’impatto delle proprie attività di lobbying in vista di un nuovo intervento legislativo che faccia chiarezza.
Claudio Tamburrino