Apple ha deciso di sciogliere il mistero sui nodi che potrebbero bloccare l’approvazione di un’app , schiarendo un po’la nebbia che ammanta l’operato del censore del suo App Store.
Statisticamente , nel 14 per cento dei casi è la mancanza di informazioni a determinare il rifiuto di un’app da parte del servizio di revisione di Cupertino, nell’8 per cento la presenza di bug , nel 6 per cento il mancato rispetto dell’accordo di licenza per il programma di sviluppo e in altrettanti casi il mancato rispetto di un determinato livello qualitativo nello sviluppo dell’interfaccia utente , un fattore assolutamente rilevante per Apple.
In un altro cinque per cento dei casi, poi, a determinare il rifiuto sono icone, immagini, screenshot o nomi non rilevanti con il contenuto stesso dell’app, ed una pari percentuale di app è stata respinta perché “con contenuti fraudolenti od ingannevoli”.
In ordine sparso, poi, Cupertino spiega che sono motivi di rifiuto i problemi tecnici che causano crash, ed il non corretto funzionamento degli strumenti di advertising.
Sorprende, infine, vedere tra i possibili motivi di mancata approvazione il fatto che l’app non offra una funzionalità o un contenuto notevole: la diffusione di applicazioni molto simili fra loro o la cui funzione è legata a minime funzioni sembrerebbe dimostrare il contrario.
Nel frattempo, anche Google ha attirato l’attenzione sulla gestione delle app nel suo store: Mountain View ha rimosso da Google Play “Disconnect Mobile”, applicazione che offriva un servizio dedicato alla privacy degli utenti .
Disconnect Mobile (che esiste anche per iOS) è uno strumento che permette agli utenti di fermare le altre app dal raccogliere dati degli utenti e nei cinque giorni in cui è stata disponibile sugli store digitali è stata scaricata più di cinquemila volte. Per Mountain View, tuttavia, tale funzionalità crea interferenze con le altre app, eventualità proibita dalla sua licenza d’uso: per la stessa ragione in passato ha estromesso dallo store diverse applicazioni dedicate all’ ad-blocking . Tuttavia, il servizio offerto da Disconnect Mobile appare differente da queste perché – di fatto – difende gli utenti proprio dalle interferenze delle altre applicazioni, agendo su tracker invisibili e fonti di malware (spesso nascosti nell’advertising).
Il co-fondatore dell’azienda sviluppatrice dell’app, Casey Oppenheim, ha inoltre riferito di aver lavorato cercando proprio di rispettare le regole di Google , investendo più di 300mila dollari nell’app ora rimossa.
Per il momento Google non ha commentato la vicenda.
Claudio Tamburrino