Apple avrebbe adottato tecniche per evadere quanto dovuto al fisco: in particolare è il New York Times a puntare il dito contro l’azienda con la Mela che, per tenere il suo patrimonio lontano dalle grinfie dell’esattore più severo, risulta avere sede fuori dalla California.
Sembra un caso analogo a quello che vede Google guardata con sospetto dalle autorità fiscali di diversi paesi tra cui Italia , Francia , Regno Unito , Turchia , Stati Uniti e Cina . Il fatto è che Google, Apple e altre aziende come Microsoft (a cui si fanno per lo stesso motivo i conti in tasca) o Amazon, sono soggetti multinazionali con sedi dislocate in diversi paesi che differiscono per normative e regimi fiscali: questo, sostanzialmente, permette loro di aggirare quelli più invadenti per le loro casse grazie a strategie ( note come Doppio Irlandese e Panino Olandese ), peraltro in buona parte legali, e sistemi estesi di trasferimento di ricavi societari a sussidiarie e aziende di facciata.
Nel caso di Apple, tuttavia, l’ultima accusa la vede spostare sulla carta la sua sede fuori dalla California, ma non dagli Stati Uniti: mentre ci si riferisce normalmente all’azienda come “Cupertino”, sarebbe teoricamente più corretto parlare di “Reno”. La città del Nevada, infatti, ospita un ufficio più piccolo di Apple ma vede lì dirottati i suoi introiti, in modo tale – suggerisce l’inchiesta del NYT – da evitare l’imposta sul reddito delle società, che in California è pari all’8,84 per cento, mentre in Nevada è uguale a zero.
Inoltre il 70 per cento dei suoi profitti è allocato all’estero (e legato dunque alla produzione straniera e alle vendite internazionali).
Tutte queste mosse, secondo i calcoli di uno studio condotto dall’ex economista del Dipartimento del Tesoro statunitense Martin A. Sullivan, avrebbero permesso ad Apple di risparmiare 2,4 miliardi di dollari di tasse.
Da parte sua, Apple ha risposto all’attenzione che le è stata dedicata parlando di quanto pagato in totale, tra tasse federali e statali (quasi 5 miliardi di dollari), e del valore dei posti di lavoro che crea e che ha contribuito a creare , come i 500mila legati alla cosiddetta “app economy”.
Un discorso simile di bilanciamento fra costi e benefici derivanti dal creare posti di lavoro è stato peraltro fatto dalle autorità di San Francisco nell’offrire a Twitter incentivi fiscali per farle mantenere la sua sede in città.
Claudio Tamburrino