Al Congresso degli Stati Uniti hanno sfilato Google, Apple e Microsoft per rispondere alle domande del Comitato formato per investigare le questioni di privacy e di tracciamento degli utenti legate ai servizi di geolocalizzazione dei rispettivi apparecchi mobile.
L’ aggiornamento 4.3.3 di iOS, che elimina il file e il bug che ha originato l’intera polemica, non è bastato a chiarire tutti gli aspetti della questione. Oltretutto dubbi sono sorti anche sulle pratiche di raccolta dati localizzati da parte di Google, Microsoft e in generale dei personal computer.
Così sono rimaste in piedi le cause avviate e le singole indagini nazionali, tra cui quella richiesta dai Senatori degli Stati Uniti e in particolare dal democratico Al Franken. Il comitato del senato, aperto da un discorso di Franken, ha ora sentito le ragioni di Apple, Google e Microsoft.
Le domande dei senatori e degli altri partecipanti tra cui il vicedirettore della Federal Trade Commission e il vice procuratore generale della divisione criminale del Dipartimento di Giustizia, si sono concentrate su quali dati possono essere raccolti, su come le aziende informano gli utenti di tale pratica, sull’utilizzo che viene fatto delle informazioni e sulla possibilità o meno di una loro condivisione con soggetti terzi.
Cupertino ha negato qualsiasi volontà di tracciamento dei propri utenti, tornando a spiegare che si tratta di un “database cache di posizionamenti collettivi aggregati”, e che il tempo di conservazione dei dati e l’impossibilità di disattivare la pratica fossero semplicemente la conseguenza di un bug corretto con l’ultimo aggiornamento. E che in ogni caso i dati sui singoli dispositivi non sono stati trasmessi ad Apple e le eventuali condivisioni con terzi avvengono solo su esplicito consenso dell’utente.
Cupertino ha inoltre risposto ad una lettera del senatore repubblicano Ed Markey, ribadendo le stesse ragioni.
Microsoft ha sottoposto un lungo intervento in cui dice di “raccogliere una limitata quantità di dati necessaria a determinare la posizione approssimativa del device e solo col consenso esplicito dell’utente” e che non c’è alcuna intenzione di tracciare ogni movimento dell’utente, ma di calcolare triangolazioni e vicinanze con ripetitori e reti WiFi per i servizi di geolocalizzazione, sempre più utilizzati dai dispositivi mobile.
Meno diplomatico l’intervento di Mountain View: dopo aver ribadito che raccoglie solo informazioni rese anonime, provvedendo per giunta a cancellarle dopo una settimana, ha difeso strenuamente l’importanza dei dati geolocalizzati per il miglioramento dei servizi offerti e correlati, e ha portato come esempio la sua collaborazione con centri per rintracciare persone scomparse o l’aiuto offerto in determinati paesi in seguito a crisi particolari.
Gli interventi non sono in ogni caso serviti a chiarire tutte le questioni e, anzi, sono in parte apparsi fin troppo generici : Jessica Rich, che partecipava all’audizione in rappresentanza di FTC, ha fatto intendere che la Commissione federale aprirà un’indagine nei confronti di Apple. Il vice procuratore generale, d’altra parte, ha espresso l’interessamento da parte delle forze dell’ordine all’accesso a dati utili alle indagini.
I dispositivi iOS e Android, peraltro, sono al centro di un’ altra questione sollevata in particolare dal senatore Charles Schumer: riguarda la presenza all’interno dei loro app store di applicazioni che aiutano a individuare posti di blocco per il controllo del guidatore e sulla cui presunta illegalità sia Mountain View che Cupertino hanno espresso dubbi . Si tratterebbe molto spesso di dati divulgati direttamente dalle forze dell’ordine locali a fini di dissuasione. Nell’indagine era inizialmente coinvolta anche RIM che però ha provveduto velocemente a rimuovere le app incriminate.
A dimostrazione di quanto la privacy degli utenti sia un argomento che pone Google, Apple e Microsoft in una situazione scottante e potenzialmente lesiva per la loro immagine, il fatto che Mountain View ha rischiato di vedersi trascinare al centro di una nuova polemica legata all’argomento, una sorta di montatura architettata ad hoc . Due uomini dell’azienda di PR Burson-Marsteller avrebbero cercato di vendere a USA Today una storia risultata alla verifica dei fatti in gran parte falsa. I “mandanti” restano tuttavia segreti.
Claudio Tamburrino