Presso la corte federale di San José, il giudice californiano Lucy Koh ha smontato la class action guidata dall’utente iOS Jonathan Lalo, in mancanza di prove sufficienti a dimostrare che Apple abbia ingannato i suoi clienti statunitensi nelle policy relative alla privacy associate ai dispositivi mobile iPhone e iPad. Nella causa collettiva contro l’azienda di Cupertino, i consumatori a stelle e strisce non sono riusciti a provare un diretto collegamento tra le regole sulla riservatezza dei dati personali e la preferenza accordata ai dispositivi della Mela .
In sostanza, il giudice Koh non ha riscontrato alcuna condizione che porti gli utenti statunitensi a scegliere i prodotti Apple per le sue promesse in materia di privacy. La class action di Lalo non potrebbe dunque sussistere nel momento in cui non è stato specificato, e soprattutto quantificato, un danno derivato dalla presunta trasmissione di dati personali dai dispositivi iPhone e iPad verso soggetti terzi .
Il gigante di Cupertino era stato colpito dalla causa collettiva nel 2011, quando un gruppo di utenti iOS denunciava l’archiviazione illecita di un pacchetto di dati destinato alla geolocalizzazione, per aiutare i dispositivi mobile a trovare la posizione in maniera più rapida rispetto al sistema GPS . Secondo le accuse, Apple aveva configurato i suoi gadget per permettere il trasferimento di dati verso sviluppatori terzi di applicazioni, ovviamente senza alcun consenso informato da parte dei clienti statunitensi.
Il giudice Koh ha ora sottolineato come Lalo e gli altri attori non siano affatto riusciti a dimostrare un trattamento ingannevole da parte della Mela, che – sempre secondo le accuse – avrebbe promesso una maggiore tutela della privacy per guidare gli utenti verso l’acquisto di dispositivi iOS. In aggiunta, Lalo si era lamentato delle scarse performance (batteria e storage) del suo iPhone, inficiate dalla trasmissione silente dei dati di geolocalizzazione.
A partire dalla release 4.3.3 di iOS, l’azienda californiana aveva corretto un bug che permetteva la trasmissione di dati a mezzo WiFi verso gli stessi server della Mela, a prescindere dalla eventuale disattivazione manuale delle opzioni per i servizi di geolocalizzazione sui dispositivi mobile. Nella successiva class action, i consumatori USA avrebbero certamente agito diversamente se fossero stati a conoscenza della problematica nel sistema operativo della Mela.
Mauro Vecchio