Apple ha denunciato una piccola startup che si occupa di open source, Amaha, per l’ impiego sul suo sito del termine “app store”, di cui Cupertino sta cercando di ottenere l’esclusiva.
La prima ad opporsi alla richiesta di esclusiva da parte di Apple del termine “app store” è stata Microsoft, che si è messa di traverso alla rivendicazione del termine da parte di Cupertino in quanto da considerare generico per “negozio digitale di applicazioni”, per questo senza quel carattere distintivo presupposto della protezione di proprietà intellettuale. Poi era stata Amazon , che nel frattempo era stata denunciata da Cupertino, a rivendicare la possibilità di impiegare la combinazione di parole con le stesse motivazioni. Nel frattempo Apple aveva già dimostrato di voler difendere legalmente l’utilizzo del termine, denunciando anche MiKandi, negozio di applicazioni a luci rosse per Android che si fregiava del nome “app store”: in questo modo ha spinto sul tasto della “rilevanza nella percezione pubblica” e per evitarne la volgarizzazione nell’utilizzo comune .
In quest’ottica l’ attacco alla piccola Amahi rappresenta, più che la paura di una reale confusione, proprio la volontà di impedire la diffusione dell’accoppiata di termini come fossero generici per indicare negozi di applicazioni.
La piccola startup, peraltro, come già MiKandi, non ha le risorse finanziarie per difendere le proprie ragioni in tribunale e ha conseguentemente scelto la via dello spirito , inaugurando una “gara per trovare un nome al negozio” di applicazioni.
Claudio Tamburrino