San Jose (USA) – Era ormai solo questione di tempo e l’attesa sentenza è finalmente arrivata: nessun diritto di alcuni siti web di garantire la riservatezza alle proprie fonti quando queste portano alla pubblicazione di segreti industriali. E? il succo della decisione di un tribunale distrettuale californiano attorno al celebre caso che oppone Apple agli editor di alcuni siti web.
Come si ricorderà, questi ultimi hanno pubblicato sui propri siti, ThinkSecret , Apple Insider e PowerPage , materiali che per Apple rappresentavano un segreto industriale, ovvero notizie sul Mac mini prima della sua presentazione ufficiale. Notizie che sono state fornite loro dall’interno dell’azienda e che hanno indotto Apple a presentare denuncia anche per capire chi dei propri dipendenti avesse tradito la propria fiducia.
La Mela già si era mossa denunciando 25 lavoratori la cui condotta, a suo dire, aveva violato la legge sui segreti industriali ed ha ora ottenuto la possibilità di farsi dire dai gestori dei siti chi ha fornito loro le informazioni.
La questione è tutt’altro che secondaria. Secondo i sostenitori dei diritti digitali, e tra questi la Electronic Frontier Foundation (EFF) , essere costretti a rivelare le fonti potrebbe comprimere notevolmente le capacità dei media di riportare notizie di rilievo. Secondo il giudice, però, così non è perché si parla di segreti industriali. “Il diritto di mantenere e conservare informazioni proprietarie – ha spiegato il magistrato – è un diritto che le normative della California e i tribunali da lungo tempo hanno sostenuto e che è fondamentale per il futuro della tecnologia e più in generale dell’innovazione”.
I tre siti ricorreranno in appello e, secondo EFF, questo è necessario perché “la sentenza dovrebbe preoccupare tutti i reporter di ogni settore, specialmente quelli del mondo finanziario e del commercio che ogni giorno si occupano delle imprese e dei loro prodotti”. Da parte sua Apple ha invece applaudito alla sentenza spiegando che non può essere data a nessuno licenza di “violare le leggi”. Inutile invece parlare dello sconforto dei redattori, secondo cui Apple approfitta del fatto che nessuno di loro ha le risorse finanziarie per opporsi a diffide e denunce come quella presentata dalla Mela. Va detto che le posizioni dei tre siti sono tra loro diverse, perché solo ThinkSecret.com è denunciato direttamente mentre gli altri due si sono difesi dalle diffide inviate da Apple ai rispettivi provider, ma sono differenze che vengono sostanzialmente a cadere con la decisione del tribunale: entro 14 giorni dovranno essere rivelati tutti i nomi dei coinvolti.
C’è però un altro risvolto della faccenda estremamente interessante. I reporter avevano infatti rigettato le diffide di Apple sostenendo che in qualità di giornalisti le proprie fonti erano protette. A sua volta Apple aveva reagito sostenendo in tribunale che non si trattava di giornalisti, in quanto riprendevano meramente notizie di prodotti senza un “vero” lavoro giornalistico alle spalle. Ed è interessante che il giudice di questo non abbia voluto occuparsi, spiegando che “definire cosa sia un giornalista è divenuto sempre più complicato con l’espansione dei nuovi media. Ma anche se si tratta di giornalisti, questo non vuol dire che possano fare come vogliono”. Come noto in Italia chi e cosa sia un giornalista è stabilito dalla legge e dalle procedure del relativo Ordine, che esiste solo in una manciata di paesi.