È dal 2013 che Apple si sta confrontando in tribunale con Smartflash, un’azienda che vive dello sfruttamento di un pugno di brevetti, branditi nel corso degli anni contro i colossi della tecnologia. A consentire a Smartflash di scagliarsi contro Apple, Google, Amazon, Samsung ed altri era la genericità dei titoli, presentata dall’azienda come propria della natura degli standard tecnologici: è ora la genericità dei titoli a ritorcersi contro Smartflash.
Nel 2015 Apple era stata ritenuta colpevole dalla giustizia texana di aver abusato della proprietà intellettuale dell’azienda: il tribunale, sede tradizionalmente schierata a favore dei detentori dei brevetti, aveva convenuto con l’accusa riguardo al fatto che i meccanismi descritti dai titoli 8,336,772 , 8,118,221 e 7,334,720 , relativi a “sistemi di storage e di accesso per il download a pagamento di dati audio e video, di testi, software, giochi e altri tipi di dati”, fossero stati sfruttati indebitamente per la piattaforma iTunes. Apple, aveva denunciato SmartFlash, contava fra le proprie fila un dipendente che aveva assistito alla presentazione delle tecnologie descritte nei brevetti, e questo sarebbe bastato a vanificarne la buona fede. Cupertino, che aveva in precedenza rifiutato di acquisire le licenze per i titoli, in quanto giudicate non proporzionate al valore della tecnologie, era stata condannata a pagare 532,9 milioni di dollari, a fronte dei 852 milioni di dollari di danni richiesti da Smartflash.
La Mela aveva gridato al patent trolling , si era opposta alla decisione e aveva ottenuto una semplice ridiscussione dei danni da versare: il tribunale non aveva preso in considerazione la possibilità di analizzare i brevetti di Smartflash e soppesarne la validità.
È invece quello che ha fatto ora la giustizia federale, nell’ambito del ricorso presentato da Cupertino: i giudici incaricati di valutare il caso hanno ritenuto all’unanimità che i brevetti di Smartflash siano troppo astratti , troppo generici nelle descrizioni e incapaci di consolidare delle idee in una vera e propria invenzione per poter delineare delle tecnologie coperte da proprietà intellettuale. Alla stessa conclusione era giunto anche lo U.S. Patent and Trademark Office lo scorso anno, ritenendo che tre delle sette idee del fondatore di Smartflash, semplici concetti astratti, non si sarebbero mai dovuti fissare in brevetti.
Gaia Bottà