La procura di Milano ha aperto un’inchiesta nei confronti di due manager di Apple Italia: l’accusa è quella di frode nella dichiarazione dei redditi . I dirigenti della succursale italiana di Cupertino, i cui nomi restano per il momento riservati, avrebbero nascosto introiti tassabili per un totale di più di un miliardo di euro in appena due anni .
Secondo quanto si apprende dagli organi di informazione, in concorso tra loro e in maniera continuativa i manager di Apple avrebbero rappresentato falsamente le scritture contabili dell’azienda, nascondendo quelli che in gergo vengono chiamati gli “elementi attivi” che concorrono a formare l’imponibile fiscale. Si tratterebbe di una sottostima di 206 milioni di euro per il 2010 e di oltre 853 milioni di dollari per il periodo d’imposta 2011 . I due manager coinvolti avrebbero inoltre adottato specifici meccanismi fraudolenti di camuffamento atti a sviare gli accertamenti del fisco in particolare per imposizione IRES (l’imposta sui redditi delle società).
Per il fisco italiano il problema è legato al fatto che Apple contabilizzava i profitti realizzati in Italia attraverso la società di diritto irlandese Apple Sales International. In pratica, Apple dichiara di operare in Italia solo in funzioni di supporto al canale di vendita, di assistenza e di servizi accessori alla società irlandese, e di pagare dunque le tasse solo ed esclusivamente su tali attività: una sorta di trucco fiscale adottato anche da altri multinazionali, come per esempio Google, che sfrutta la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea.
Per il fisco, tuttavia, dietro questa serie di passaggi si nasconde lo svolgimento di una vera e propria attività commerciale diretta, che in quanto tale deve essere tassata.
Tali stratagemmi, peraltro, sono ormai da anni sotto osservazione: in Italia nei confronti di Apple era già stato aperto in passato un altro fascicolo (subito archiviato) e nel Decreto Stabilità si pensa ad una misura ad hoc, già ribattezzata Google Tax , per limitare l’adozione di tali pratiche obbligando chi vende online a farlo attraverso intermediari con un profilo fiscale nazionale (una misura su cui peraltro Bruxelles potrebbe avere da ridire in base alle norme sulla libera circolazione dei lavoratori europei)
Inoltre, sono diversi i tribunali che stanno provando a contestare a chi mette in pratica questi stratagemmi le accuse di frode fiscale, mentre le stesse istituzioni europee hanno messo sotto osservazione le agevolazioni previste dalla legislazione di paesi come l’Irlanda e il Lussemburgo, e anche l’ Organization for Economic Cooperation and Development (OCSE), se pur a rilento, sembra volersi interessare della questione.
Nel frattempo, sulla base dei riscontri finora effettuati il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta Adriano Scudieri ha ordinato prima la perquisizione della sede di Apple di piazza San Babila a Milano, poi il sequestro di un lotto di materiali targati Apple (computer e smartphone). Anche su questo provvedimento preliminare, tuttavia, dovrà esprimersi il tribunale del Riesame dal momento che Apple, attraverso il suo legale Paola Severino, ex-ministro della Giustizia, ne ha contestato la validità.
Apple, per il momento, si è limitata a confermare l’inchiesta e a respingere fermamente le accuse al mittente, spiegando tra l’altro che “il governo italiano aveva già svolto delle indagini su Apple Italia nel 2007, 2008 e 2009, confermando che siamo totalmente nella legalità e nel rispetto delle regole fissate dall’OCSE”.
Nel frattempo, è curioso osservare come i commenti degli utenti stranieri siano molto critici nei confronti dell’Italia, tanto che sembrano più concentrati sulla “fame di soldi” della penisola che sulla presunta evasione fiscale con la Mela: reazioni, queste, certamente segnate da reputazione internazionale italiana ai minimi storici, dal momento che Apple, Google e co. devono difendersi da accuse fiscali anche in altri paesi come Stati Uniti , Australia e Regno Unito .
Claudio Tamburrino