Negli States il jaibreaking dei dispositivi mobile è ormai una pratica legale , e noti servizi telematici hanno approfittato del nuovo regime per offrire un servizio di sblocco universale a costo zero per la quasi totalità dei gadget realizzati da Apple. Ma a Cupertino non sono d’accordo, sostengono che il jaibreaking invalidi la garanzia e potrebbero limitare i danni grazie a un brevetto su una tecnologia pensata per individuare gli utilizzi illegittimi di iPhone, iPad e compagnia.
In realtà la richiesta per il brevetto risale al febbraio del 2009 , ed è stata pubblicata solo nei giorni scorsi: attraverso di essa Apple intende mettere il proprio marchio su una tecnologia utile a individuare utenti non autorizzati, i quali hanno accesso allo smartphone/tablet/lettore multimediale senza averne l’autorizzazione.
Apple descrive il modo di impiegare riconoscimento vocale e facciale o misura del battito cardiaco per riconoscere il legittimo possessore del dispositivo o, al contrario, chi ne è venuto in possesso in maniera illecita. Una volta individuato il malfattore, la tecnologia si incaricherebbe di limitare le funzionalità del gadget così come di inibire l’accesso alle informazioni sensibili in esso contenute.
Ma a far discutere del brevetto è la descrizione esplicita del jaibreaking del dispositivo tra i comportamenti “sospetti” indice di un possesso illegittimo dell’ iCoso , fatto che da solo potrebbe in teoria consentire a Apple di bloccare i dispositivi “liberati” anche se il jailbreaking è stata una decisione presa dal legittimo proprietario.
La polemica infuria, le parti si schierano tra chi non ci vede nulla di male nel comportamento di Cupertino – che sarebbe dunque animata dalle migliori intenzioni e niente affatto decisa a bannare gli iCosi sbloccati – e chi riafferma il sacrosanto diritto a fare quel che si vuole con i propri prodotti regolarmente acquistati. La terza possibilità è che Apple non abbia intenzione di implementare il brevetto in prodotti commerciali veri e propri, come capita non di rado tra le grandi aziende.
Alfonso Maruccia