Grazie all’interessamento dello staff legale di Electronic Frontier Foundation è caduto uno dei segreti meglio custoditi dello scenario tecnologico recente. Lo iPhone Developer License Agreement è finalmente di dominio pubblico, e mette in mostra l’approccio che Apple mantiene sull’AppStore, i vincoli imposti a sviluppatori grandi e piccoli dall’azienda che alberga in quel di Cupertino.
EFF è riuscita a ottenere la visione dell’EULA per programmatori previsto da Apple grazie al Freedom of Information Act e al fatto che tra le tante organizzazioni che hanno intinto il biscottino nel calderone dell’AppStore c’è anche la NASA. La revisione dell’accordo visionato dallo staff dell’organizzazione pro-diritti digitali risale al 17 marzo del 2009, e serve a mettere in mostra le criticità dell’approccio tecnologico-commerciale di Cupertino di particolare evidenza soprattutto ora che la corporazione si appresta a lanciare il tablet iPad.
L’ analisi di EFF è impietosa: oltre al ben noto divieto di parlare in pubblico dell’accordo con Apple, gli sviluppatori di App sono costretti a osservare una serie di paletti che si potrebbero definire “stringenti”. Tra le altre cose, gli sviluppatori di contenuti per l’AppStore non possono: distribuire la stessa applicazione al di fuori dello store della Mela; fare o promuovere il reverse engineering del codice anche nei casi in cui esso possa servire all’interoperabilità tra le piattaforme; armeggiare con i prodotti Apple (jailbreaking).
Non bastasse questo, Apple riserva per sé la sostanziale totalità dei diritti: Cupertino può (come ha fatto in passato) cancellare “la qualunque” applicazione dal suo store senza alcun preavviso; Cupertino non potrà mai, in nessun caso, risarcire più di 50 dollari in caso di danno provocato agli sviluppatori indipendentemente dalle dimensioni del business e dalla popolarità dell’applicazione incriminata.
Sostanzialmente, conclude Fred von Lohmann della EFF, l’EULA di Apple è un contratto a senso unico in cui a guadagnarci sono soltanto la Mela e la sua volontà di controllo sulle sue tecnologie e piattaforme di computing, mentre a perderci non solo soltanto gli sviluppatori e utenti ma anche e soprattutto esigenze da sempre fondamentali del mercato hi-tech come l’interoperabilità, la competitività e l’innovazione . Principi che, secondo EFF, scaturiscono soltanto da un mercato aperto.
Apple farebbe insomma il bello e il cattivo tempo nello store di applicazioni mobili che dovrebbero teoricamente rappresentare il “futuro del computing”, deciderebbe a sua totale discrezione quando cancellare cosa, e pare proprio che la recente pulizia dei contenuti piccanti sia solo l’inizio di un’operazione su scala molto più ampia. Dopo il sesso, l’Inquisizione di Cupertino è ora passata a sforbiciare le appliance costruite con lo stampino , e si vocifera che presto potrebbe toccare a quelle per i libri .
Alfonso Maruccia