Secondo alcune fonti l’Arabia Saudita starebbe per adottare un piano per prendere definitivamente controllo della comunicazione che passa per la Rete. Abdul Rahman Al-Hazza, portavoce del Ministero della cultura e dell’informazione saudita, avrebbe annunciato che le pubblicazioni web dell’Arabia Saudita avranno bisogno di una registrazione presso l’ufficio istituito ad hoc . Un’autorizzazione ufficiale governativa necessaria a scrivere in Rete.
Al-Hazza avrebbe tra l’altro provato a spiegare l’iniziativa affermando che non si tratta di una misura per limitare la libertà di espressione, ma solo per porre un freno alla diffamazione e alla calunnia . E successivamente ha smentito solo in parte: una licenza è prevista ma solo per le testate giornalistiche, mentre non intende essere estesa ai blogger, per cui sarà solo volontaria. Afferma infatti al-Hazzaa che sono “troppi per poter essere controllati”. Una rinuncia per impossibilità, dunque, non per merito: a proposito di blog e pagine Facebook, per esempio, il portavoce del ministero ha riferito che “il giorno che si chiude un sito, viene subito sostituito da uno con un nome differente”.
Esplicita, d’altra parte, l’ intenzione di controllare i media digitali , così come viene regolarmente fatto con quelli tradizionali, anche per estendere la disciplina della diffamazione a quanto viene scritto online.
È, tuttavia, la storia e la situazione delle libertà nel Paese a non far presagire nulla di buono: i media tradizionali risultano già strettamente controllati (e non è raro che un giornalista meno allineato sia arrestato) e le autorità hanno già annunciato l’intenzione di voler prestare orecchio alle conversazioni dei cittadini che passano su dispositivi come il BlackBerry di RIM.
Per quanto riguarda poi le ambizioni del Governo sulle forme di comunicazione che passano per la Rete, si tratta ormai di un gioco a carte scoperte: nelle statistiche internazionali, come quella di Reporters sans Frontières , l’Arabia Saudita ha da anni un ruolo di spicco come nemico delle libertà online. E già è stato arrestato , per esempio, un blogger e censurato un attivista che comunicava via Twitter.
Dal momento che le proteste pubbliche sono proibite nel Paese, una minima forma di picchettaggio ha, in attesa che la notizia venga confermata dai fatti, preso forma su Twitter sotto l’hashtag #haza3 (con riferimento al nome del portavoce coinvolto).
Claudio Tamburrino