La firma apposta la scorsa settimana da Trump sul documento che include Huawei nella Entity List degli USA impedisce al gruppo cinese di acquisire tecnologia di provenienza statunitense da impiegare all’interno dei suoi prodotti o per l’erogazione dei propri servizi. Un ban i cui effetti sembrano però destinati a riverberarsi ben oltre i confini americani, come anticipato da alcune indiscrezioni nei giorni scorsi. Anche la britannica ARM pare aver optato per l’interruzione dei contratti siglati con il gruppo di Shenzhen e con le sue decine di sussidiarie.
ARM: stop alla fornitura di Huawei
È quanto riporta BCC, facendo riferimento a due comunicazioni inoltrate dall’azienda di Cambridge a tutti i suoi dipendenti e collaboratori. Si parla di uno stop immediato, le cui conseguenze potrebbero essere potenzialmente disastrose per il business di Huawei: si pensi ad esempio che il SoC Kirin 980 in dotazione a smartphone come i nuovi top di gamma della serie P30 è basato proprio su architettura ARM.
La decisione, stando a quanto emerso, è legata al fatto che le componenti includono tecnologia statunitense. Dall’azienda non sono giunte conferme dirette in merito ai rapporti con Huawei, ma una breve dichiarazione che in ogni caso sembra rafforzare l’ipotesi.
Agiamo in conformità con le più recenti disposizioni poste in essere dal governo statunitense.
La replica di Huawei non si è fatta attendere, la riportiamo di seguito in forma tradotta. Viene posto di nuovo l’accento sul fatto che la posizione assunta da Washington sia di natura politica: il gruppo ha più volte respinto le accuse mosse in merito ad attività di spionaggio e rischi per la cybersecurity delle reti americane.
Apprezziamo le relazioni strette con i nostri partner, ma riconosciamo la pressione alla quale alcuni di loro sono sottoposti, come risultato di decisioni motivate dalla politica. Siamo fiduciosi che questa spiacevole situazione possa essere risolta e la nostra priorità rimane quella di continuare a offrire le tecnologie e i prodotti migliori ai nostri clienti di tutto il mondo.
Gli effetti del ban oltrepassano i confini USA
La prima comunicazione diramata da ARM al proprio personale sembra essere datata 16 maggio, il giorno in cui Trump ha firmato il documento citato in apertura, inasprendo così i rapporti già tesi con il produttore cinese. Ne è seguita una seconda il 18 maggio. La società britannica non sembra intenzionata a tornare sui propri passi, nemmeno alla luce della decisione di concedere a Huawei altri 90 giorni per riorganizzare il proprio business prima che il ban divenga definitivo.
I documenti consultati da BCC parlano di una “situazione sfortunata”. ARM avrebbe imposto al proprio staff di interrompere immediatamente i rapporti con rappresentanti di Huawei e delle sue sussidiarie, compresa HiSilicon che si occupa della produzione delle componenti hardware. In concreto, niente più supporto tecnico né software o aggiornamenti. Un divieto che interessa anche coloro impiegati da ARM China, realtà controllata al 49% dalla holding britannica.
Fondata nel 1990 in Inghilterra, ARM è stata acquisita dalla giapponese SoftBank nel 2016 con un investimento quantificato in oltre 30 miliardi di dollari. La sua tecnologia è alla base, tra gli altri, dei chipset Snapdragon di Qualcomm, Exynos di Samsung, dei processori Apple della serie A e dei già citati Kirin. Huawei potrebbe essere in grado di utilizzare in futuro le unità già progettate, ma non di svilupparne altre. Futuro incerto per il Kirin 985 atteso entro l’anno.
Un sistema operativo potrebbe non bastare
Se per far fronte alla sospensione della licenza Android potrebbe essere sufficiente il lancio di un sistema operativo proprietario (missione comunque tutt’altro che semplice), sul fronte hardware la situazione potrebbe farsi addirittura più complicata per Huawei. L’abbandono di ARM si tradurrebbe nell’esigenza di progettare processori e chipset da zero, partendo da un’architettura differente rispetto a quella che, ad oggi, muove la quasi totalità dei dispositivi mobile in circolazione.