Quei 200mila e passa dollari pesano ancora come un macigno sulla testa di Jammie Thomas, e soprattutto sulle norme che regolano il copyright e i diritti di distribuzione dei contenuti negli States. Norme che secondo alcuni professori sono state male interpretate dal giudice che ha presidiato il processo e consigliato la giuria, e che ora si è parzialmente pentito chiedendo un nuovo briefing con le parti in causa.
I dieci professori che hanno da ridire hanno fatto le pulci al Copyright Act statunitense, che a loro parere stabilisce senza possibilità di dubbio che, per ricevere un risarcimento dei danni, il detentore dei diritti d’autore deve vedersi precluso “il diritto esclusivo di distribuire copie o fono-registrazioni del lavoro protetto al pubblico attraverso la vendita o altro trasferimento di proprietà, o con l’affitto, il leasing o il prestito”.
“Il linguaggio chiaro del testo stabilito dalla legge – hanno detto in coro i professori – come confermato dalle altre corti e da autorevoli commentatori, porta a un’unica conclusione: che limitarsi a rendere disponibile un’opera al pubblico, sia su Internet o in qualsiasi altro modo, di per sé non costituisce una distribuzione”.
Michael Davis, al contrario, aveva suggerito alla giuria di considerare come infrazione bella e buona la semplice presenza dei 24 brani incriminati in una cartella condivisa del network di Kazaa. Una decisione di cui il giudice si è poi pentito , chiedendo un’udienza post-causa a RIAA, la Thomas e il pubblico fissata per il prossimo agosto. Ma che nondimeno è servita ai giurati per sintetizzare la pesantissima condanna inflitta alla donna dopo soli cinque minuti di camera di consiglio.
Non che un’eventuale ripensamento del giudice possa servire automaticamente a salvare la Thomas dalla sua incresciosa situazione, avverte uno dei professori firmatari dell’ amici curiae presentato alla Corte. Thomas Cotter, esperto di copyright dell’Università del Minnesota, evidenzia come l’avere quei brani in condivisione è un elemento che gioca a sfavore dell’accusata , e pur tuttavia il fatto che a scaricare quei brani siano stati soltanto – a quanto è possibile sapere – gli investigatori al soldo di RIAA “non dovrebbe contare come un’infrazione del copyright”.
Sia come sia, e considerando che nel novero delle possibilità ci sono anche una nuova causa nei confronti della Thomas, un proscioglimento di quest’ultima e un accordo extra-giudiziario, uno dei casi più spinosi del P2P statunitense appare tutto fuorché concluso .
Alfonso Maruccia